Categorie: Mostre

“For Children”: a Monaco un museo si ripensa per i più piccoli

di - 1 Settembre 2025

Il foyer di un centro dell’arte contemporanea dal sapore internazionale che diventa una lavagna per bambini: piccoli scarabocchi, mostri colorati, ritratti abbozzati ricoprono il pavimento dell’ampio atrio dell’Haus der Kunst di Monaco. Non si tratta di un’errore o di un atto di vandalismo, ma del progetto interattivo Mega Please Draw Freely (2025) dell’artista giapponese Ei Arakawa-Nash nella cornice della mostra For Children. Art Stories since 1968. Qui il segno infantile diventa non solo traccia estetica ma vera e propria forma di occupazione dello spazio: un gesto che ridefinisce le gerarchie consuete del museo.

Curata da un ampio team internazionale —Andrea Lissoni, Emma Enderby, Lydia Korndöfer, Xue Tan, Lydia Antonio, Layla Wu, Sabine Brantley, Pia Linden e Camille Latreille— l’esposizione apre interrogativi raramente affrontati dall’arte contemporanea: che cosa significa essere bambini oggi? Come possono i più piccoli entrare in un museo senza sentirlo come un luogo ostile? Che cosa possiamo apprendere dal loro sguardo non filtrato e che cosa possono apprendere loro dagli artisti e dai curatori? Questi i quesiti che guidano il visitatore —di qualunque età— tra le sale dell’Haus der Kunst, fino all’aperto, dove una nuova scultura di KOO JEONG A trasforma il giardino in un campo da skate.

For Children. Art Stories since 1968 Yto Barrada, Lyautey Unit Blocks (Play), 2010 Exhibition View Haus der Kunst München, 2025 Photo: David Levene

Nonostante il poco peso che le istituzioni spesso riservano ai più piccoli, l’esposizione mette in evidenza come, in realtà, essi siano stati al centro di molti progetti artistici a partire dagli anni Sessanta. Attingendo da questa ricca tradizione, le sale vengono costellate da installazioni giocose e interattive e riflessioni sul mondo dell’infanzia.

Esempio di ciò sono i 500 kilogrammi di Lego bianchi che costituiscono l’opera The cubic structural evolution project (2024) di Ólafur Elíasson e i blocchi di legno proposti da Yto Barrada, che vede proprio il gioco come fondamentale per sviluppare la propria identità.

E poi ancora: mantelli di tessuto che riparano i bambini dalle loro peggiori paure, coperte soffici che costituiscono ambienti interattivi, un parco artificiale che in piccoli schermi incorpora modelli di comunicazioni pensati per i bambini con problemi di apprendimento. L’Haus der Kunst diventa così uno spazio ibrido, in cui realtà e immaginazione si mescolano l’uno nell’altro, come accade nella serie di video Bedtime Stories (1973 – 1977), tra i lavori forse meno conosciuti del regista tedesco Harun Farocki. Negli episodi in mostra, due bambine riempiono quello spazio-tempo tra la vegli e il sonno con fantasi di navi, pontili, binari e gattini: un mescolarsi di elementi intimi che ci riporta indietro nel tempo e ai rituali tra gentiori e figli.

Harun Farocki, Bedtime Stories: Ships, 1977 © Harun Farocki 1977

La cosa più interessante della mostra, tuttavia, non sono tanto i grandi nomi che vi hanno partecipato o la varietà dei lavori esposti, ma piuttosto la reazione del pubblico. Sono i bambini, infatti, ad affollare le sale, a soffermarsi davanti ai video, a seguire i workshop e le visite guidate.

In questo senso, For Children non è soltanto una mostra sull’infanzia, ma un esperimento istituzionale: ci ricorda che il museo non deve essere pensato come luogo della disciplina e del silenzio, bensì come laboratorio di socialità e divenire. I bambini, con la loro capacità di agire senza timore, dimostrano che ogni spazio culturale può essere continuamente rifondato, abitando lo spazio in maniera nuova —senza gerarchie— e rifiutando la logica della contemplazione passiva per sostituirla con quella dell’azione.

For Children. Art Stories since 1968 Antoine Català Jardin synthétique à l’isolement, 2014. Exhibition View. Haus der Kunst München, 2025 Photo: Agostino Osio

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