Allestimenti della mostra Guercino. L’era Ludovisi a Roma
Conosciuto come “straordinario colorista” durante la sua prima attività tra la nativa Cento e Bologna, il giovane Giovanni Francesco Barbieri, meglio noto come Guercino (Cento, 1591 – Bologna, 1666), fu chiamato a Roma nel maggio del 1621 da Alessandro Ludovisi, appena eletto papa con il nome di Gregorio XV. Sia il pontefice che il cardinal nipote, Ludovico Ludovisi, gli affidarono alcune delle opere più emblematiche del breve pontificato, durato appena due anni, dal 1621 al 1623. Tra queste, la monumentale pala (720×423 cm) raffigurante il Seppellimento e gloria di santa Petronilla (1621-1623) scelta per aprire la mostra Guercino. L’era Ludovisi a Roma, a cura di Raffaella Morselli e Caterina Volpi, ancora per pochi giorni negli spazi delle Scuderie del Quirinale a Roma.
Destinata a decorare l’altare principale della navatina settentrionale della Basilica di San Pietro, dove erano custodite le reliquie della martire, la pala raffigura due uomini che stanno calando il corpo della santa nel sepolcro, mentre di un terzo, che completa il gesto drammatico, si intravedono solo le mani. Intorno, diversi astanti osservano la scena. Al di sopra si sviluppa invece la visione celeste dell’ammissione di Petronilla in paradiso, dove Cristo, alzandosi dal trono di nuvole, accoglie la santa circondato da angeli. In questo capolavoro che si distingue per il dinamismo compositivo, Guercino attua la sua vera rivoluzione artistica, fatta di colori, effetti luministici e di una teatralità monumentale, capace di rapire l’osservatore.
Si rimane per un attimo senza fiato una volta salite le scale che conducono all’inizio del percorso espositivo, solo per scoprire – sigh! – che l’opera esposta è una copia su tela (e non è l’unica, al piano superiore c’è anche una riproduzione di San Crisogono in gloria). L’originale, oggi esposto ai Musei Capitolini, fu trasferito nel 1730 dal suo luogo originario nella Basilica di San Pietro al Palazzo del Quirinale, dove una copia in mosaico prese il suo posto. Successivamente, durante le requisizioni napoleoniche, l’opera fu inviata al Louvre, dove rimase fino alla caduta dell’Imperatore, prima di essere restituita allo Stato Pontificio.
La mostra è un viaggio tra i capolavori del Seicento, con un focus sull’era della famiglia Ludovisi, un periodo «rivoluzionario» per lo scenario culturale, artistico e politico della Capitale. Gli anni del pontificato di Gregorio XI sono raccontati attraverso 122 opere, dai piccoli disegni alle grandi pale d’altare, provenienti da 68 musei e collezioni nazionali e internazionali tra cui il Getty Museum al Nationalmuseum di Stoccolma, la Rothschild Foundation, le Gallerie Estensi di Modena, il Tatton Park in Inghilterra, fino al Louvre.
Non una semplice mostra monografica dedicata all’arte di Guercino, quindi, ma un racconto in cui il pittore emerge come uno degli interpreti fondamentali della pittura barocca, accanto a grandi nomi come Guido Reni, Van Dyck, Domenichino, Giovanni Lanfranco, Annibale e Ludovico Carracci, Pietro da Cortona e Nicolas Poussin.
Per creare un dialogo immaginario tra i due protagonisti principali della mostra, al busto di papa Ludovisi, ritratto in bronzo dal giovane Gian Lorenzo Bernini, è affiancato l’Autoritratto a mezzo busto di Guercino, genere rarissimo nella sua produzione, proveniente della Schoeppler Collection di Londra. Pennelli e tavolozza in mano, spicca la particolarità fisica da cui deriva il nomignolo con cui ancora oggi lo conosciamo: «Lo strabismo che ha caratterizzato la fisicità di Guercino fin dalla nascita si riflette sulla sua carriera in un’accezione intellettuale che lo bilancia e lo squilibra – spiega la curatrice Raffaella Morselli – spingendolo tuttavia a tornare sempre al centro di due campi visivi, entrambi fondanti per la sua formazione: Bologna e Ferrara. Se la prima ha contribuito in maniera inequivocabile e evidente alla sua formazione, tra esempi pittorici, maestri e committenti appassionati, non di meno la seconda, con le vestigia di collezioni ducali appena trasferite, di echi di un collezionismo di corte raffinatissimo, e di artisti che di quella tradizione si nutrivano, ha rappresentato l’altro capo di un dualismo, a volte contemporaneo, che ha segnato la sua evoluzione nel secondo decennio del Seicento».
La formazione di Guercino fu profondamente influenzata dai Carracci. Già dal 1591 era giunta a Cento, suo paese natale, la cosiddetta Carraccina. Fu su quest’opera straordinaria che il giovane pittore assimilò la tradizione del naturalismo espressivo emiliano, improntato su Correggio e rielaborato da Ludovico. Nel 1617 a Bologna vide le grandi pale d’altare di Annibale e Ludovico, dalle quali trasse una nuova capacità di costruzione sempre più teatrale della scena sacra, evidente nel suggestivo dipinto raffigurante San Bernardino da Siena e san Francesco pregano la Madonna di Loreto per la chiesa di San Pietro a Cento. Infine, giunto a Roma presso casa Ludovisi, approfondì in modo decisivo il linguaggio dei Carracci, aggiornandolo grazie allo studio dei capolavori romani di Annibale.
Il legame tra la famiglia Ludovisi e Guercino, così come con altri artisti emiliani, precede l’elezione di Gregorio XV. Alessandro Ludovisi, infatti, scoprì il talento del giovane pittore già nel 1612, quando era ancora cardinale a Bologna. Anche il nipote Ludovico, coetaneo di Guercino, ebbe un ruolo importante in questa fase. Le prime commissioni affidate al pittore posero le basi per il suo futuro successo nel mercato artistico romano. Sono un esempio quattro importanti tele presenti in mostra e realizzate nel 1618: Lot e le figlie, Susanna e i vecchioni, San Pietro resuscita Tabita e Il figliol prodigo.
Proseguendo si incontra il Peccato originale, la grande tela, esposta per la prima volta al pubblico, realizzata da Domenichino insieme a Giovan Battista Viola ed Elia Maurizio. Manifesto dell’arte promossa da Ludovico Ludovisi e dall’Accademia dei Lincei, ci introduce agli ambienti espositivi dove vengono riportati gli affreschi e la storia di Villa Ludovisi.
Visitabile in occasione dell’esposizione, Villa Ludovisi è un luogo privato chiuso al pubblico da anni e rimasto invenduto dopo numerosi tentativi di messa all’asta (potete ricostruire la vicenda qui). Costruita a partire dal 1621 sui resti degli antichi Orti di Sallustio, fu acquisita da Ludovico Ludovisi, nominato cardinale, per affermare pubblicamente il prestigio e l’importanza della famiglia del nuovo pontefice. Nel palazzo, appartenuti al cardinale Francesco Maria Del Monte, erano custodite la collezione Ludovisi, composta da statue antiche e moderne (l’Ares Ludovisi restaurato dal Bernini e l’Atena restaurata da Alessandro Algardi, il gruppo del Galata suicida e il Galata morente, il Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini) e dipinti dei grandi maestri del Rinascimento e della pittura moderna (Domenichino, Guercino, Guido Reni, Annibale e Ludovico Carracci, Pietro da Cortona, Simon Vouet, Artemisia Gentileschi). Il Casino, invece, ospitava preziosi e opere di dimensioni ridotte e conserva tuttora uno dei capolavori più celebri del Guercino: l’affresco dell’Aurora sul carro all’interno di una quadratura illusionistica a opera di Agostino Tassi, con le figure della Notte e del Giorno.
La permanenza di Guercino a Roma durò soltanto 26 mesi ma fu un periodo cruciale, durante il quale operò al servizio del papa, che lo aveva voluto nella Capitale in occasione del Giubileo del 1625. Gregorio XV e il cardinale Ludovico Ludovisi avviarono un’imponente opera di promozione di grandi eventi religiosi tra cui le canonizzazioni di cinque importanti santi, Teresa d’Avila, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Filippo Neri e Isidoro di Siviglia, tutte avvenute nel marzo 1622, e la fondazione della chiesa di Sant’Ignazio, dedicata al fondatore della Compagnia di Gesù. Attorno alla raffigurazione e all’iconografia del nuovo santo Filippo Neri, si colloca il confronto, riportato idealmente in mostra, tra i due più grandi pittori emiliani dell’epoca: Guercino e Guido Reni.
Le due immense pale d’altare, poste una di fronte l’altra, sono la Trinità dei Pellegrini di Reni, commissionata dal cardinale Ludovisi nel 1624 per l’altare maggiore dell’omonima chiesa a Bologna e la Crocifissione con la Vergine e i santi Giovanni Evangelista, Maria Maddalena e Prospero patrono di Reggio che Guercino completava nello stesso anno per l’altare della Basilica della Beata Vergine della Ghiara a Reggio Emilia. Se la prima si distingue per la monumentalità delle figure, più grandi del naturale, e per l’equilibrio perfetto, la Crocifissione di Guercino colpisce per il suo chiaroscuro drammatico e la tensione emotiva, caratteristiche che incarnano il pathos e il realismo della sua pittura.
Tra le opere esposte anche il Peccato Originale (1621-1623) del Domenichino e il Mosè (1618-1619), una delle più recenti attribuzioni a Guercino, proveniente dalla Fondazione Rothschild, opera “dirompente per la modernità dell’inquadratura”, come sottolinea la curatrice Caterina Volpi, che trasmette con intensità l’estasi del profeta, illuminato da due raggi di luce. Questo dipinto, un tempo appartenuto alla collezione del cardinale Alessandro d’Este, si inserisce nello stesso impianto stilistico dei ritratti degli Evangelisti posseduti dallo stesso cardinale.
Nei soli 26 mesi che Guercino passò a Roma, la sua fama si propagò negli ambienti aristocratici della capitale. Nel 1622 il cardinale Scipione Borghese saldò a Guercino il pagamento per il monumentale San Crisogono in gloria destinato al soffitto, in legno intagliato e dorato, della chiesa dedicata al Santo a Trastevere. Rimosso nei primi anni dell’Ottocento e sostituito da una copia, ancora visibile, il telone fu acquistato dal Duca di Sutherland, rimanendo ancora oggi esposto a Lancaster House, oggi sede di rappresentanza del Foreign Office del Regno Unito.
Un’altra importante commissione pubblica fu la Santa Maria Maddalena penitente per l’altare della chiesa del monastero delle Convertite a via del Corso, commissionatagli per intercessione della famiglia Aldobrandini. E ancora La cattura di Cristo, dipinta appena prima del trasferimento a Roma, altra composizione di grande impatto teatrale dove il drammatico momento dell’arresto di Gesù è reso con acceso realismo dai gesti, mentre nel San Girolamo di Palazzo Barberini, Guercino ci presenta il Santo in una nuova iconografia: in ginocchio davanti a una Bibbia è in atto di sigillare una lettera.
Uno degli eventi più straordinari per importanza artistica tra quelli accaduti a Roma durante il pontificato di Gregorio XV fu l’arrivo in casa Ludovisi di due dei celeberrimi Baccanali di Tiziano, l’Offerta a Venere e il cosiddetto Baccanale degli Andrii, oggi al Museo del Prado di Madrid, dipinti per Alfonso d’Este e passati successivamente nelle mani del cardinal Pietro Aldobrandini, alla cui morte furono acquistati da Ludovico Ludovisi. Dall’ispirazione di queste tele di Tiziano prese avvio la corrente artistica detta “neo-veneta”, dove emerge particolarmente evidente la centralità di due temi ricorrenti nei soggetti rappresentati all’interno della collezione Ludovisi: quello di Marte e quello di Venere e Cupido. Nelle opere dell’epoca firmate da Poussin, Domenichino, Guido Reni, Francesco Albani, e nelle sculture di Bernini, di Algardi e di Duquesnoy, vediamo composizioni affollate da putti e amorini che determinarono una vera e propria moda che durò qualche decennio. All’unione tra Marte e Venere è dedicato il celebre dipinto di Guercino realizzato nel 1633 per Francesco I d’Este, dopo il ritorno dell’artista in patria, ma arricchito da elementi ispirati all’esperienza romana.
Il penultimo ambiente è dedicato all’Arcadia e alla pittura di paesaggio, con opere popolate da personaggi della mitologia greca oppure a soggetto sacro. Centrale è il dipinto Et in Arcadia Ego attribuito a Guercino nell’inventario di Antonio Barberini del 1644.
La collezione Ludovisi definì il nuovo gusto dell’epoca, influenzando le tendenze artistiche del momento prediligendo i paesaggi della scuola veneta e ferrarese (Bassano, Palma il Vecchio, Tiziano, Dosso Dossi), e influenzando anche il giovane Guercino nei suoi primi paesaggi che troviamo in mostra, riuniti dopo oltre 50 anni: Paesaggio con cavaliere e viandanti e Paesaggio al chiaro di luna, realizzati tra il 1616 e il 1617.
La mostra si conclude con una sezione dedicata al cosiddetto “ritratto di Stato” un genere tenuto in altissimo conto nel Cinquecento e nel Seicento. Nel caso dei ritratti papali, il dipinto poteva addirittura sostituire la stessa presenza del pontefice e per questo doveva dunque rispondere a precise leggi.
Il trittico presentato è composto al centro dal Ritratto di papa Gregorio XV e del suo nuovo cardinale Ludovico Ludovisi realizzato da Domenichino e proveniente da Béziers, a destra dal Ritratto di papa Gregorio XV realizzato da Guercino e proveniente dal J. Paul Getty Museum di Los Angeles e a sinistra dal Ritratto del cardinale Ludovico Ludovisi realizzato da Ottavio Leoni e proveniente dal Szépművészeti Múzeum di Budapest. Difficile non cogliere le differenze tra Domenichino e Guercino, il quale si distingue per un ritratto dal carattere intimo e diretto, capace di offrire un’immagine privata del pontefice, pensata per creare un coinvolgimento immediato con lo spettatore.
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