Exhibition view, Gastone Novelli (1925-1968), Venezia Ca’ Pesaro, 2025, ph Irene Fanizza
Dal bianco può emergere molto: lettere, numeri, segni inconsci, immagini delicate e surreali, “ciò che viene dal ventre”. Lo dimostra bene la ricerca artistica di Gastone Novelli, grande protagonista del dopoguerra italiano, cui la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro dedica oggi un’ampia retrospettiva. L’esposizione, curata da Elisabetta Barisoni e Paola Bonani, ricostruisce la vicenda umana e artistica di Novelli e coincide con l’ingresso nelle collezioni civiche di due importanti dipinti donati dagli eredi: Era glaciale (1958) e Allunga il passo amico mio (1967).
Il percorso espositivo —circa sessanta opere realizzate tra il 1957 e il 1968— segue un ordine rigorosamente cronologico e occupa le otto sale del secondo piano del museo, proseguendo idealmente il ciclo di grandi mostre dedicate ai maestri del secondo dopoguerra qui ospitate negli ultimi anni: da Cy Twombly ad Arshile Gorky, da Afro a Roberto Matta.
Come già accennato, la pittura di Novelli sembra emergere dal bianco, da una palette tenue entro cui l’artista innesta un fitto reticolo di disegni minuti, lettere, cifre, figure seminate sulla superficie. La scrittura comincia a farsi strada nel suo lavoro già tra il 1957 e il 1958: un intreccio di segni che incide la materia corposa, dove si avverte chiaramente l’influenza di Dubuffet e dell’art brut. Parole e frammenti linguistici, qui ancora prossimi alla dimensione del subconscio, si faranno progressivamente più legati a un orizzonte etico e politico.
Non si può parlare di Novelli, infatti, senza affrontare il suo impegno militante negli anni Sessanta, che affiora —prima in forma latente, poi apertamente— nelle due Biennali cui prende parte. La prima è quella del 1964: in quell’occasione Novelli presenta una serie di opere a cui Ca’ Pesaro dedica una sala intera, lavori che ci ricordano quasi delle pagine bianche nella loro delicatezza. Si tratta di opere che, nella loro asciuttezza visiva e concettuale, si pongono in netta opposizione alla Pop Art americana, grande trionfatrice della Biennale di quell’edizione, e, di conseguenza, all’imperialismo americano.
Ancora più esplicita è la sua partecipazione del 1968. In polemica con l’istituzione e in sintonia con il clima di contestazione dell’epoca, Novelli decide di voltare le tele verso il muro nella sua sala personale e di apporre su una di esse la scritta: “La Biennale è fascista”. Si tratta di un gesto radicale che lo consegnerà alla storia dell’arte.
Per concludere, i può affermare che la retrospettiva di Ca’ Pesaro offre un quadro chiaro e ben strutturato dell’evoluzione di Novelli. Il percorso permette di osservare da vicino come il suo linguaggio si sia trasformato, dal segno più istintivo alle forme di scrittura politicamente consapevole, lasciando emergere continuità e fratture senza forzarne la lettura. Ne risulta un ritratto completo e misurato, che restituisce la complessità dell’artista senza semplificazioni, e che inserisce la sua opera all’interno delle dinamiche del dibattito artistico del secondo dopoguerra, dove si è formata e ha trovato risonanza.
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