Beauty and Desire, a cura di Sergio Risaliti assieme a Eva Francioli e Muriel Prandato, è la seconda grande retrospettiva dedicata dal Museo Novecento alla fotografia. L’esposizione mette in mostra l’intensa produzione di Robert Mapplethorpe, artista che produce opere con continuità fino alla sua morte avvenuta nel 1989, e le fotografie del barone Wilhelm von Gloeden, artista austriaco che si dedica alla fotografia a partire dal 1895, ottenendo importanti riconoscimenti internazionali. Entrambi mettono in luce la bellezza del corpo, femminile e maschile, attraverso tecniche fotografiche raffinate seppur in momenti storici completamente differenti. La mostra, infatti, ci accompagna nella scoperta di questi due grandi artisti attraverso un parallelismo costante tra le opere dell’uno e dell’altro e l’inserimento di immagini che rimandano alla scultura classica provenienti dall’Archivio Alinari, sottolineandone il legame profondo con la classicità e l’approccio quasi scultoreo che sia von Gloeden che Mapplethorpe indagano attraverso le loro fotografie.
I curatori si propongono di sviluppare, tramite un parallelismo piuttosto inedito, la ricerca che accomuna la produzione dei due fotografi, una ricerca estremamente contemporanea, quella che indaga arte, morale, spiritualità e religiosità.
Tra le opere di Mapplethorpe troviamo alcuni suoi ritratti, come l’evocativo Self Portrait (1985), che ritrae l’artista come una sorta di satiro con le corna, abitante di chissà quale mondo nascosto, assieme a nudi maschili caratterizzati da una forte intensità formale, come l’irriverente ritratto Jack Walls (1983), che ritrae l’uomo con una corona di spine in testa, per ricordarci le difficili battaglie che le persone discriminate hanno vissuto e tutt’ora vivono non solo negli USA ma nel mondo intero, e Derrick Cross (1983), che sintetizza lo spirito voyeristico e la ricerca di un’estetica perfetta che contraddistingue tutta la produzione del fotografo. Muovendoci da una stanza all’altra incontriamo anche il famoso ritratto di Patti Smith (1986), con cui l’artista ebbe una relazione in giovane età nella New York di fine anni Settanta e con la quale continuerà ad avere un legame di profonda amicizia fino alla morte. Robert Mapplethorpe riesce a sopprimere ogni moralismo legato ai soggetti delle sue fotografie, trasformando corpi nudi, a tratti perturbanti, fiori e volti in manifestazioni d’arte che cancellano ogni falso giudizio e analizzano il campo della sessualità e del corpo che diviene, quindi, una forma artistica pura che consacra l’eredità del linguaggio classico.
Parallelamente, le opere di von Gloeden si legano al lavoro dell’artista americano nella ricerca di un formalismo estetico perfetto e nei soggetti che anch’egli ritrae, ovvero nudi, come avviene nelle opere Caino (1900) e Fauno (1890-1900 ca), dove von Gloeden ritrae un giovane siciliano conferendogli un aspetto da fauno che richiama in parte l’effetto che anche Mapplethorpe ci offre nel suo autoritratto. Al di là dell’importanza storica e culturale del lavoro di Mapplethorpe, la sua eredità continua a vivere tutt’oggi grazie all’attività della Robert Mapplethorpe Foundation e al lavoro delle gallerie che tutt’oggi lo rappresentano in tutto il mondo.
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