Cristian Chironi, DK (Ebe, Pinacoteca Civica di Forlì), 2009 Fotografia analogica su d-bond incorniciato, 83x103 cm. Courtesy l’artista.
Si sa che tradurre è un po’ tradire ma non è solo un affaire di linguaggio. Certo, per noi occidentali cresciuti con cose semplici, pane e una ventina di lettere dell’alfabeto, interpretare logogrammi e sillabari del sistema di scrittura giapponese – e tutte le stratificazioni di senso connesse – è sempre una impresa sfidante. E poi, oltre agli apparati testuali, c’è anche un’altra grammatica che presenta questioni irrisolte: quella visiva, della forma o della non forma, insomma l’estetica, l’arte. Ed è su questi argomenti di incontro, perché il tradimento e il fraintendimento sono una raffinata forma di relazione, che è incentrata “Italia Zokugo”, mostra traducibile approssimativamente con “Gergo italiano”, a cura di Gabriele Tosi, in collaborazione con l’artista Moe Yoshida e con Hikaru Taga di Galleria Taga2. In esposizione all’IIC – Istituto Italiano di Cultura di Tokyo dall’1 al 30 ottobre 2021, le opere di dieci artisti italiani, a comporre l’immagine idealizzata di una collezione museale, quindi rappresentativa di una corrente, di una tendenza: Fabrizio Bellomo, Lorenza Boisi, Cristian Chironi, Michelangelo Consani, Cleo Fariselli, Stefano Giuri, Fabrizio Perghem, Giulio Saverio Rossi, Davide Mancini Zanchi, Moe Yoshida.
«Italia Zokugo scaturisce dall’immagine storica e spesso infedele con cui l’arte italiana è conosciuta nel mondo», spiegano i curatori. «Raccogliendo opere e testimonianze, il progetto rivela trasformazioni vernacolari, dialettali o caricaturali del linguaggio aulico e accademico delle belle arti. L’uso contemporaneo dei media tradizionali è la partenza di un viaggio di profanazione, volto a minare le certezze proprie del patrimonio artistico occidentale. Nascono nuovi amori. Accadono furti, sequestri, fughe e sabotaggi».
Ukiyo, Chotto Matte e Mamonaku, cioè rispettivamente “mondo fluttuante”, “attesa indefinita” e “a breve” oppure “non c’è spazio per il tempo”, termini emersi dagli interventi dei curatori Fuyumi Namioka e Pier Luigi Tazzi in occasione della conferenza “Linguaggi espositivi tra Italia e Giappone”, sono le immagini, tanto concettuali che concrete, intorno alle quali ruotano le opere, le relazioni tra le opere e l’allestimento. La mostra, infatti, chiude l’omonimo ciclo di incontri organizzato dall’IIC di Tokyo con la Giornata del Contemporaneo 2020.
Nella sala espositiva dell’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo, progettata da Gae Aulenti, prende vita un museo fluttuante. Soltanto alcuni e simbolici elementi toccano terra. Molti oggetti sono sospesi. Il progetto d’allestimento, pensato assieme all’artista Moe Yoshida e da lei stessa realizzato avvalendosi della collaborazione di un falegname giapponese, sfrutta l’estetica naturale del legno rawan. «L’eleganza povera che il tempo e l’artigianato conferiscono al materiale suggerisce la collocazione di Italia Zokugo su un piano premoderno, dove è il rapporto personale dell’artista con il medium a calare la pratica individuale in una dimensione ampia, collettiva e condivisa. Le forme classiche, animate da lenti movimenti e improvvisi scontri, mostrano la storia dell’arte in una coreografia d’entropica agitazione», continuano i curatori.
La documentazione del progetto è raccolta in un’edizione a tiratura limitata, ideata graficamente dall’artista Matteo Coluccia e realizzata seguendo procedure semiartigianali che vedono nel “fatto a mano” un livello di connessione fra le culture visive italiana e giapponese. La pubblicazione è distribuita gratuitamente in sede di mostra.
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