Veduta della mostra, Luigi Bonazza. Tra Secessione e Déco. Ph. Mart Rovereto, Jacopo Salvi, 2025
Una meravigliosa infilata di opere disposte a fregio apre la monografica dedicata all’artista trentino Luigi Bonazza al MART, fino al 6 maggio, a quarant’anni dall’ultima mostra a lui intitolata. Un’infilata che brulica di colori dorati, che «ricordano il Fregio di Beethoven nel Palazzo della Secessione di Vienna», racconta la curatrice della mostra Alessandra Tiddia. Una sequenza d’esordio che rimanda subito ai grandi maestri di Bonazza, da cui poté apprendere l’arte della pittura, del disegno, della scultura e della decorazione durante gli anni viennesi. In questa galleria introduttiva immaginaria sono esposti lavori magnifici di Gustav Klimt e Franz von Matsch, che idealmente conducono il visitatore verso l’opera iniziale di Bonazza: il Trittico di Orfeo. Un’opera che, nel percorso ciclico della mostra, è insieme inizio e fine della sua produzione. Essa raccoglie metaforicamente tutta la materia pittorica e gli ideali della Secessione Viennese: l’interesse per il mito dell’antica Grecia, l’idea di una ricerca della bellezza nella soavità dei corpi, nel dispiegamento delle opere attraverso una simbologia nascosta, psicologica e sacra, e nel rappresentare l’uomo come un Orfeo moderno.
La figura di Orfeo accompagnerà Bonazza per tutta la vita: un eroe che con la sua bravura riesce a commuovere gli dei, ma che, per la sua debolezza, perderà per sempre Euridice. Una figura carica di contraddizioni, come contraddittorio fu il periodo storico in cui l’artista visse: tra Secessione e Art Déco, tra il dominio asburgico nel territorio trentino e la sua annessione all’Italia dopo la Prima guerra mondiale, sino all’avanzata del fascismo e il culto dei suoi eroi e martiri. Centrale è anche l’amicizia con Gabriele D’Annunzio, eroe ed esteta, che fece della propria vita un’opera d’arte, così come totale era la Gesamtkunstwerk, concetto chiave per gli artisti della Secessione. A questo Orfeo moderno Bonazza dedicherà anche il Ritratto di Dante Alighieri, come segno di profonda ammirazione. L’interesse e l’amore di Bonazza per il gusto del bello, la ricerca accurata delle forme sinuose del corpo umano – che egli stesso affermava essere «nulla di più armonioso» – si dispiegano nella sua stupefacente bravura nella resa dei corpi. Ciò emerge sia nei bozzetti preparatori, sia nelle incisioni per la serie Jovis Amores (1908) e per Le allegorie del giorno (1908), così come nello studio preparatorio, sempre dello stesso anno, della Ballerina nuda in punta di piedi, colta mentre sembra elevarsi in un attitude devant: un corpo quasi instabile, con tutti i muscoli tesi nel tentativo di mantenere l’equilibrio e di una sensualità ammiccante che si ritrova anche nel ciclo degli Amori di Giove. Europa, Io, Leda, Dione e Danae vengono rappresentate nell’atto dell’unione con il dio, nei suoi molteplici travestimenti, lasciando emergere, in alcuni disegni, tenerezza e intimità toccanti.
Nel periodo tra le due guerre Luigi Bonazza realizza numerose opere di arte pubblica, oggi solo in parte sopravvissute. Tra le opere perdute figura, ad esempio, la decorazione di una sala del Palazzo della Provincia di Trento – allora sede del Grand Hotel – raffigurante la Nascita del giorno. Non ne resta documentazione diretta, ma osservando l’omonimo olio su tela della collezione Pizzini si coglie come la notte, nella parte inferiore del dipinto, ceda poeticamente spazio alla nascita del giorno grazie alla raffigurazione della musica e al suono della lira. Il giorno è raffigurato come un bambino che si fa subito adulto e che, con testa e occhi rivolti all’insù, guarda il sole: un volto femminile ruotato verso l’alto, dal quale si irradiano raggi luminosi. Una metafora della possibilità di raggiungere la felicità o la salvezza, di passare dalla notte alla luce, attraverso arte, musica e amore. La composizione è tipicamente verticale, fatta di delicate sovrapposizioni di corpi, come accade in molte opere klimtiane – si pensi, ad esempio, al Fregio di Beethoven – dove il cammino dell’umanità verso la felicità è rappresentato simbolicamente attraverso figure eteree delle arti, poste l’una sopra l’altra.
Concludono la mostra le sezioni dedicate ai paesaggi e ai ritratti, e quella sulla cerchia di pittori trentini-viennesi legati a Bonazza, tra cui Luigi Ratini e gli scultori Stefano Zuech e Francesco Trentini. Tra i ritratti spicca il Ritratto di Gigina (1930), nipote dell’artista, che racchiude emblematicamente il passaggio tra Secessione e Art Déco: la collana di perle, la rosa e il vaso di vetro sono chiari riferimenti al gusto déco, mentre il portamento ieratico, la frontalità composta e l’assenza di introspezione psicologica rimandano ancora alla lezione secessionista. In questo equilibrio, Bonazza fa della figura umana non tanto un’indagine dell’interiorità quanto un oggetto estetico assoluto, prezioso e senza tempo. E in questa tensione, tra decorazione e mito, tra sacralità della forma e modernità del gusto, si misura la sua posizione originale: un artista che attraversa la Secessione e approda all’Art Déco senza mai rinnegare l’idea di un’arte totale, capace di elevare l’uomo attraverso la bellezza.
Il sole opprimente di Vittorio Marella
Sdraiati sotto un sole che sembra impossibile da sopportare, i giovani corpi delle tele di Vittorio Marella raccontano più di quanto il semplice sguardo potrebbe percepire. Nella sua nuova mostra, a cura di Denis Isaia e Giovanna Zabotti, fino al 22 marzo, il pittore veneziano trasforma la luce in protagonista assoluta: fonte di calore, strumento di tensione e di riflessione ecologica. Le opere più piccole, quasi dei close-up cinematografici, mostrano volti coperti dalle mani, come a proteggersi dai raggi troppo intensi. Questi dettagli anticipano i grandi teleri che dominano la sala successiva: ragazzi e ragazze sdraiati sotto un sole cocente, in un tempo incerto e senza punti di riferimento precisi. Nessuna montagna, nessuno specchio d’acqua, nessun segnale stagionale.
Il sole opprimente diventa simbolo della crisi climatica, una tensione invisibile che attraversa le tele inserendosi all’interno del dibattito internazionale sull’arte e l’ecologia richiamando alla mente la poetica di The weather project di Olafur Eliasson alla Tate Modern (2003), dove la luce artificiale del sole diventa esperienza fisica per lo spettatore e metafora della vulnerabilità del nostro ecosistema.
Allo stesso modo, l’opera-performance Sun & Sea, presentata da Rugilė Barzdžiukaitė, Vaiva Grainytė e Lina Lapelytėalla alla 58 edizione della Biennale di Venezia, sembra dialogare con Marella: il riposo dei bagnanti sotto il sole diventa simbolo di godimento quotidiano e insieme di precarietà, ricordando quanto l’uomo sia fragile di fronte ai cambiamenti climatici.
In questa sospensione di tempo e luce, Marella sembra porre lo spettatore davanti a una realtà ambivalente: la bellezza apparente dei corpi sotto il sole nasconde una fragilità inquietante, e il silenzio della scena amplifica la consapevolezza del cambiamento climatico e della precarietà umana. Con una raffinata sensibilità visiva, l’artista veneziano dimostra come la pittura possa ancora raccontare temi globali, trasformando bellezza e estetica in strumento di critica contemporanea.
Con la sua nuova installazione luminosa diffusa nel borgo di Pescasseroli, nell'ambito di Arteparco, Matteo Fato riflette sul rapporto tra…
Palazzo Reale omaggia l’artista più noto della Milano neoclassica, con oltre cento opere che ripercorrono la fortuna di Appiani al…
Al Museo di Capodimonte di Napoli, una mostra mette in dialogo le opere di 21 artisti contemporanei con reperti antropologici…
A New York si respira un’atmosfera natalizia multiculturale, nelle strade e nei musei: a Brooklyn, due mostre da non perdere…
L'artista Ugo Nespolo firma una collezione di 12 giacche da sci per il brand tecnico JAMM: il ricavato delle vendite…
Proseguono le aggiudicazioni stellari della casa d’aste di Dallas, la maison famosa per i cimeli cinematografici e i fumetti (e…