Exhibition view: Never Final! The Evolving Museum, March 28, 2025, to April 12, 2026 Photo: Klaus Pichler © mumok
“Never Final!” è l’espressione coniata negli anni Ottanta dall’allora ministra austriaca della scienza Hertha Finberg per definire il museo non più come un archivio stabile, ma come uno spazio in movimento, sempre in trasformazione. Nel contesto del mumok di Vienna questa formula diventa un vero e proprio mantra: una prospettiva che guida le scelte acquisitive, struttura le esposizioni e finisce per cristallizzarsi come ideologia dell’istituzione stessa. Ripensare non solo gli spazi, ma anche la storia e la collezione di un grande museo diventano qui anche gli obiettivi della mostra Never Final! The Evolving Museum, visitabile fino al prossimo 12 aprile.
Attingendo esclusivamente alla collezione del mumok e ai suoi prestiti a lungo termine, l’esposizione si concentra sugli ingenti cambiamenti che hanno segnato l’istituzione tra il 1979 e il 1989, con Dieter Ronte come guida. Le opere qui presentate perciò —che spaziano da una coloratissima scultura di Niki de Saint Phalle alla dimensione violenta dell’Azionismo viennese— costituiscono una selezione di lavori giunti al museo tramite donazione o acquisto proprio in quegli anni.
L’allestimento stesso segue la cronologia dell’arrivo delle opere al mumok, a partire da Les Juges/L’Aube (1960/1967–68) di Eva Aeppli, contrassegnata dal numero di inventario 1 della grande donazione Ludwig. L’installazione si costituisce in un dipinto dai colori scuri e densi davanti a cui l’artista, tra il ’67 e il ’68, ha allineato una serie di sette sculture lignee: dei giudici-marionetta che ci trasportano in un’atmosfera kafkiana. Aeppli concepisce l’opera, nel suo insieme, come una riflessione sugli oscuri strascichi del Nazionalsocialismo che continuano ad influenzare l’Europa del dopo-guerra.
L’ampia sala del mumok dedicata a Never Final! presenta poi al suo centro una zona interattiva: una sorta di angolo studio che invita il visitatore ad analizzare materiale d’archivio e approfondire la storia e i mutamenti avvenuti in quel periodo al museo. Si tratta di un invito a contestualizzare i pezzi esposti in una dimensione più ampia e complessa attraverso materiale audio e documenti scritti.
Particolarmente significativa è l’idea di introdurre un pannello in continua trasformazione: una griglia metallica su cui vengono presentate a rotazione scelte curatoriali provenienti non dai direttori o dai critici, ma da figure diverse —gli addetti alla sicurezza, lo staff del bookshop, i visitatori adulti e infine i bambini— con una cadenza di tre mesi. In questo modo, l’atto curatoriale si decentra e si apre alla dimensione collettiva, dimostrando come ogni collezione sia, in fondo, il risultato di negoziazioni e di sguardi plurali. Ogni spazio di cultura, infatti, non potrebbe esistere senza chi vi lavora e senza i visitatori che ne fruiscono. È un’idea, questa, che destabilizza la funzione tradizionale del museo come custode della memoria per trasformarlo in un laboratorio aperto, in cui anche la storia diventa materia viva, soggetta a revisioni, contestazioni e nuove interpretazioni..
Gli artisti in mostra: Eva Aeppli, Kiyoshi Awazu, Alice Aycock, Robert Bechtle, Joseph Beuys, Christian Boltanski, Marcel Broodthaers, Günter Brus, Carlos Cruz-Diez, Giorgio De Chirico, Inge Dick, Don Eddy, Loys Egg, Richard Estes, Suzan Etkin, VALIE EXPORT, Trude Fleischmann, Helen Frankenthaler, Birgitta Fritz, Gilbert & George, Nancy Graves, Johannes Itten, Isolde Maria Joham, Hildegard Joos, Martha Jungwirth, Wassily Kandinsky, Paul Klee, Per Kirkeby, Kurt Kocherscheidt, Brigitte Kowanz, Richard Kriesche, František Kupka, Maria Lassnig, Agnes Martin, Hermann Nitsch, Friederike Pezold, Janis Provisor, Arnulf Rainer, Mimmo Rotella, Niki de Saint Phalle, Rudolf Schwarzkogler, Rudolf Schwarzkogler / Walter Kindler, Daniel Spoerri, Rini Tandon, Sidney Tillim, Oswald Tschirtner, Cy Twombly, Günther Uecker, Ursula, Lois Weinberger.
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