Si intitola La meraviglia la mostra personale di Mario Ceroli, visitabile fino al 6 aprile nella galleria milanese. Un titolo voluto dall’artista convinto che l’arte, come suo obiettivo primario, abbia quello di suscitare in chi la guarda stupore, meraviglia appunto. E le realizzazioni dell’artista di Castel Frentano (Chieti), scultore oltreché raffinato scenografo, hanno tutte le caratteristiche per suscitare questi sentimenti. A partire dagli otto giganti che accolgono il pubblico appena si entra nella grande sala all’ingresso. Si tratta di personaggi che richiamano la mitologica figura di Atlante (l’uomo nudo che regge il mondo): ma i giganti di Ceroli, altrettanto nudi, alti quasi 3 metri e realizzati in legno di pino di Russia, sono impegnati nello sforzo immane di reggere altre figure geometriche come coni, cubi, prismi, piramidi.
La variazione sul tema dell’Atlante, proposta dall’artista, non è banale ma nasce da una scelta precisa ben individuata dal titolo stesso proposto per questa serie di lavori – che risalgono agli anni tra il 1985 e il 1990 – e cioè Discorsi platonici sulla geometria. Le opere di Ceroli, nonostante la loro imponenza, non hanno l’algida austerità delle opere in marmo e proprio per questo sono in grado di trasmettere in chi le guarda il calore e la vicinanza del legno (materiale naturale e povero), frutto della lunga e appassionata dedizione creativa dell’artista. Ceroli, in questo modo, sembra voler cogliere il senso dell’eterno rifacendosi alle parole stesse del filosofo greco il quale sosteneva che “la geometria è la scienza di ciò che sempre è, e non di ciò che in un certo momento si genera e in un altro momento perisce”. L’espressione di dolorosa fatica che gli otto giganti esprimono attraverso i propri corpi, sotto il peso delle creazioni geometriche che devono portare sulle spalle, richiama peraltro l’idea che anche oggi l’uomo appare soverchiato da forze razionali ed eterne, la geometria degli algoritmi che lui stesso ha creato (pensiamo all’Intelligenza Artificiale) e che potrebbero limitarne i movimenti e, addirittura, la libertà.
Ma Ceroli mostra fiducia nell’uomo e soprattutto nella natura e nella sua forza rigenerativa. Crede con un entusiasmo davvero ammirevole che la natura saprà indicare la strada per ritrovare il senso della nostra presenza sulla terra. Le sue opere a parete, che si rifanno a ricerche sulla materia alle quali si è dedicato dalla fine degli anni Settanta, si orientano proprio verso il recupero di una religiosità ancestrale del bosco (tempio della natura), una sacralità che potrebbe fungere da “grande suggeritrice” per gli artisti in grado di ascoltarla. E la natura, i rami, gli arbusti, i tronchi, i ramoscelli, sembrano nelle sue opere, anch’esse di grandi dimensioni, aspirare a irrompere nella realtà come richiami che, interrompendo la bidimensionalità del quadro, possano coinvolgere chi li osserva, spingendolo a ritrovare un senso della vita più concreto, più reale, meno astratto. Da segnalare a questo proposito La nascita di Venere, Prova d’orchestra, Inferno, La barba di Saturno che divora il figlio e Pier delle Vigne, in cui i riferimenti mitologici e classici dei titoli servono a dare ancor più spessore alle intuizioni creative dell’artista.
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