Veduta della mostra. Nebojša Despotović. Tutte le nostre vite. Ph Mart, Giulia Lenzi, 2025
Barbara De Vivi e Nebojša Despotović, oggi alla Galleria Civica di Trento,si formano entrambi nell’Atelier F dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, la prima, classe 1992, il secondo, 1982. Entrambi guardano al corpo e alle rappresentazioni familiari con la stessa attenzione, lo stesso interesse nell’esplorare e indagare il corpo come mappa biografica e genealogica; espressione di sentimenti, cura, affetto, memoria.
“Tutte le nostre vite”, a cura di Daniele Capra e Gabriele Lorenzoni, mostra 14 recenti lavori di Despotović inediti, caratterizzati da una pittura figurativa che appare scossa, in cui i volti dei soggetti dipinti non sono mai davvero nitidi: si mostrano e si sottraggono nello stesso istante. Le figure sembrano istantanee sfocate, frammenti di un sogno lucido rimasti incollati agli occhi al risveglio.
È come se vedessimo il mondo attraverso il velo sottile della malinconia, di quella nostalgia diasporica che lega il presente ad un paese d’origine altrove, mai del tutto lasciato. Si avverte, in controluce, il ricordo del soggiorno della nonna in Serbia, la traccia affettiva di qualcosa che è stato casa anche se per poco, anche se a distanza. Nelle opere dell’artista serbo i colori appaiono vividi e iper saturi: rosa, rossi, verdi si sovrappongono in un gesto pittorico che è passionale, a tratti feroce nella sua pluristratificazione, eppure profondamente dolce e intimo. Nel rivolgersi alla tela, Despotović dipinge spesso la sua famiglia: la madre, come in The Artist and His Mother (2021), poco tempo prima che venisse a mancare, e le figlie, sempre attento ai diversi piani pittorici, ad una subordinazione compositiva magistrale e perfettamente equilibrata, sebbene a primo impatto appaia estemporanea e rapida.
L’attenzione al colore è sapiente, calibrata per evocare un’emotività precisa. «Nel dipingere mia madre – racconta – ho utilizzato colori più chiari: era molto anziana, di lì a poco se ne sarebbe andata. Ci tenevo a evocare un momento di passaggio, tramite il colore bianco». Mentre in All our lives (2021), spiega: «Volevo una protagonista forte e incisiva al centro del dipinto, così ho utilizzato un rosa molto acceso per richiamare l’attenzione su determinati dettagli e creare diversi piani narrativi all’interno dell’opera». Dosando il colore in maniera chirurgica, l’artista guida lo sguardo dell’osservatore per costruire vere e proprie narrazioni emotive e psichiche dentro la tela. Spesso sceglie i toni freddi dei blu e dell’azzurro acqua, colori glaciali che sembrano contraddire la temperatura dei suoi soggetti, al contrario caldi, intimi, familiari. Una tavolozza che ricorda per certi versi i dipinti di Victor Man, anch’essi sospesi in un’atmosfera introspettiva e sottilmente perturbante.
Attento ai legami familiari è a sua volta il lavoro di Barbara De Vivi, alla sua prima mostra istituzionale, con oltre 40 opere esposte. In “Due di Due”, con la curatela di Gabriele Lorenzoni e Carlo Sala, pittura e disegno diventano per lei strumenti attraverso cui catturare l’intimità, dare forma a ciò che resta sottopelle, lasciando emergere un’esplorazione aperta e sensibile di una femminilità libera, nuda e sognante. La sua è una pratica stratificata, dove convivono immaginari iconografici che arrivano dalla storia dell’arte rinascimentale, insieme a segni più intimi, ed esperienze personali. Al cuore del suo lavoro, il rapporto con la sorella: una figura che è alter ego, musa e modello per l’artista stessa. Nell’esplorazione di questo rapporto personale, il corpo diventa un mezzo per accedere a mondi liberi e a riflessioni più ampie sull’identità femminile.
Tra le oltre quaranta opere esposte spiccano le delicate miniature su carta del ciclo Disegni dall’archivio (2024–2025): piccoli appunti visivi dove l’artista «imprime atmosfere, suggestioni, o riferimenti che l’hanno colpita», siano queste un particolare da un opera di Tiziano, un’iconografia sacra, un simbolo arcano o corporeo. Sono tracce, reliquie minute che richiedono uno sguardo ravvicinato e attento. Esposte in sequenza continua, come un vero e proprio fregio moderno, queste immagini costruiscono un archivio emotivo che alterna apparizioni quotidiane e visioni oniriche, spazi domestici e mitologie personali. A queste si affiancano i grandi fogli del ciclo Pressione, in cui corpi femminili adagiati su letti abitano luoghi ambigui tra realtà e sogno, sensualità e piacere, tristezza e disperazione. È qui che l’osservatore si riscopre coinvolto senza riuscire a cogliere esattamente le emozioni che attraversano quelle figure, ma ben percependone le tensioni corporee. In quel vuoto tra ciò che si mostra e ciò che sfugge, si apre la possibilità di un’identificazione sottile e perturbante, in un’ambiguità che esula dal dare risposte.
La nascita della Sonnabend Collection Mantova, dentro il restaurato Palazzo della Ragione — inaugurata il 29 novembre 2025 con 94…
Alcuni dei suoi edifici sono i più importanti al mondo: Frank Gehry, colui che ha praticato l'architettura, o forse più…
La Società delle Api nomina Luca Lo Pinto come direttore artistico: la Fondazione creata da Silvia Fiorucci sposta a Roma…
Fino al 22 marzo 2026, la Fondazione Luigi Rovati celebra i Giochi Olimpici con una mostra che unisce storia, arte…
È morto Giovanni Campus: se ne va un protagonista rigoroso e appartato dell’arte italiana del secondo Novecento, tra gli innovatori…
La pollera, da indumento retaggio di subordinazione femminile nell'America Latina a simbolo di emancipazione internazionale: la storia del collettivo ImillaSkate,…