Non siamo mai stai moderni, Roberto Amoroso, Exhibition view. Ph. Filippo Molena
Venezia, città d’acqua. Venezia città d’arte. Venezia città d’artisti e per gli artisti. Questa è una delle frasi più celebri nel panorama turistico in città e spesso a ragione. Venezia ha vissuto dei periodi molto forti e meno forti sul piano artistico, sistematicamente in laguna nascono spazi, gallerie e mostre in periodi come le inaugurazioni delle edizioni d’arte di Biennale e poi di questi spazi alla fine dell’anno non se ne sa nulla. Che fine hanno fatto? Secondo alcune statistiche, sul territorio gli spazi che nascono sono sempre di più e sempre meno superano l’anno di vita per poi dare spazio, proprio fisicamente, ad attività commerciali a volte di dubbio gusto.
In tutto questo marasma di spazi che nascono e muoiono, di recente in aprile ne è nato uno che si chiama 10 & zero uno, che si trova a Santa Croce al numero 270/D a due passi da Piazzale Roma ed è la creatura di Chiara Boscolo, giovane gallerista e curatrice che sul territorio di Venezia ha fatto esperienza e che adesso prova a spiccare il volo in solitaria, provando a fare il suo passo. Lo spazio 10 & zero uno ospita la personale, con testo di Rossella Farinotti, dell’artista napoletano Roberto Amoroso, che lavora con il digitale ma che per l’occasione di questa personale dal titolo “Non siamo mai stati moderni”, presenta un corpus di opere inedite, per l’esattezza otto acquerelli e un intervento site specific applicato sulla finestra dello spazio, che in alcuni dettagli ricordano e dialogano con il mondo del web e dei social network.
Amoroso nei suoi otto acquarelli decostruisce, smantella un sistema, dichiarando con fermezza e uno stile a volte volutamente barocco – estremo, diretto – l’urgenza di nuove regole. La realtà non si nasconde più, va raccontata, enunciata attraverso la sua esistenza binaria, complessa, naturale, in costante evoluzione, crescita e lotta per nuove configurazioni. Di creazione di un immaginario radicale, ibrido e ambiguo tratta la ricerca di Amoroso, che qui enfatizza estremizzando alcuni elementi simbolici che fanno parte del suo emisfero visivo.
Parlando con Chiara, che mi accompagna e racconta le opere, è chiaro fin da subito che la ricerca dell’artista vuole non solo sensibilizzare sul tema della figura dell’essere umano contemporaneo ma, soprattutto, vuole farci riflettere su quanto sia importante l’identità dell’essere umano, oggi più che mai. Figure in acquarello costruite come si costruiscono i file in grafica, livello su livello con una maestria e minuziosità di un artista di altri tempi. Figure che raccontano la propria storia attraverso dettagli che comprendono altre storie lontane e vicine nel tempo in cui viviamo.
Non siamo mai stati moderni. E non lo siamo ancora oggi. Il titolo della mostra, tratto dall’opera letteraria degli anni novanta di Bruno Latour, non poteva essere più contemporaneo, rivisto oggi attraverso lo sguardo di Amoroso. Quale è il luogo adatto per esserci? Esiste un contesto o va creato? Come crollano quelle restrizioni che hanno agito mutando il percorso naturale delle cose e delle persone? Non si grida al patriarcato, alle forze di potere astratte, agli asterischi e alle schwa. Si agisce alle spalle di questi temi, attuando tentativi per essere moderni. Una modernità dunque in auge da tempo. Tutte domande che possono ottenere più risposte e che nelle opere di Amoroso sono sicuramente celate sotto diversi punti di vista. Una mostra ben congegnata, con grande poetica, cosa sempre più rara nella città che cambia pelle a ogni biennale.
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