Veduta deII'aIIestimento, “Prampolini Burri. Della Materia”. Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, Lugano, Svizzera. Foto StudioFotoEnricoCano Courtesy Fondazione Palazzo AIbizzini Collezione Burri, Città di Castello; 2025, ProLitteris, Zurich
La Collezione Giancarlo e Danna Olgiati apre la stagione autunnale delle mostre ospitate al MASI di Lugano, con Prampolini Burri, Della Materia, visitabile fino all’11 gennaio 2026. A cura di Gabriella Belli e Bruno Corà, in collaborazione con la Fondazione Burri città di Castello e con progetto d’allestimento dell’architetto Mario Botta, il progetto espositivo offre uno sguardo sull’utilizzo non convenzionale della materia nelle opere dei due grandi maestri del Novecento. La mostra è parte di una trilogia espositiva promossa da Danna e Giancarlo Olgiati dedicato a confronti tra alcuni dei massimi protagonisti del Novecento, tra cui Balla e Dorazio (2923) e Yves Klein e Arman (2024).
Enrico Prampolini (Modena, 1894 – Roma, 1956) e Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995) cambiano radicalmente il concetto di pittura, introducendo la libera sperimentazione polimaterica. Nonostante i profili – e i periodi storici – differenti, i due artisti manifestano la stessa attitudine sperimentale all’arte. Ritagliare, incollare, aggiungere oggetti, bruciare; una vera e propria rivoluzione del linguaggio. Con oltre 50 capolavori provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private internazionali, lo spazio concepito dall’architetto Mario Botta si sviluppa in due momenti ben distinti: le opere di Prampolini sono posizionate su pareti bianche, mentre le opere di Burri su pareti nere. Una divisione netta e radicale, ma in continuo dialogo consequenziale.
Attivo nel campo della pittura, della scenografia, dell’architettura, del cinema e delle arti applicate, Enrico Prampolini aderisce al movimento del Futurismo nel 1913 ma dichiarando fin da subito la sua totale autonomia di sperimentazione. Tra gli anni Venti e Trenta si avvicina prima all’arte meccanica, poi ad una visione cosmica della sua produzione che culminerà con la pubblicazione Arte polimaterica (verso un’arte collettiva?) del 1944. Artista e teorico, sperimentatore e pioniere di tecniche pittoriche, le opere di Prampolini delineano il profilo di artista disobbediente, più che mai contemporaneo. La piccola opera Bèguinage del 1914 (18x22cm, collage su tavola) fa da apripista al polimaterismo europeo in maniera assolutamente precoce ed intuitiva, testimoniando la completa adesione alle nuove ricerche europee (Picasso, l’utilizzo di oggetti comuni, il collage). Anche l’opera Intervista con la materia del 1930 (98×78.5cm, olio, smalto, sughero, galatite, spugna su tavola) si trasforma in quadro-manifesto, aprendo ad una visione cosmica di un Prampolini più maturo: i materiali che compongono l’immaginario prampoliniano si elevano a dimensioni universali, assottigliando sempre più i confini tra figurazione ed astrazione, artificio e natura, scienza e arte, testimoniando i continui contatti con le avanguardie europee, ad esempio con il Surrealismo.
Diverso è il profilo di Alberto Burri che ha una concezione intuitiva della materia. Burri vive la Seconda Guerra Mondiale come ufficiale medico, poi fatto prigioniero in Africa e poi in Texas dove resta fino alla fine del conflitto, nel 1946. Durante la prigionia, Burri decide di abbandonare per sempre la professione medica e dedicarsi alla pittura. Tornato in Italia, precisamente nella nativa Città di Castello, inizia a frequentare l’ambiente artistico italiano. Dopo una breve esperienza pittorica figurativa, nel 1948 decide di utilizzare la materia come linguaggio compositivo puro, fatto di colori, forme e texture. Dal catrame alla pietra pomice, arrivano all’utilizzo scultoreo del fuoco come azione purificatrice ed antica. In mostra sono presenti Plastica e Rosso Plastica del 1962, risultati di bruciature in cui la fiamma sulla tela entra in contatto con la plastica ed altri materiali, rivelando paesaggi materici ignoti e sommersi. Presenti anche i Cretti, ricerca che Burri compie durante gli anni Settanta; in mostra, Bianco Cretto C1 del 1973, qui la materia si trasforma in paesaggio (da cui nascerà il Grande Cretto di Gibellina, 1984-2015).
La mostra di Lugano dà forza alla Materia, soggetto fondante per le arti, da sempre. La materia trovata, aggiunta, della vita quotidiana, la durezza e la malleabilità; qual è il limite tra volontà della creazione di un’opera e imposizione della materia sull’opera stessa? Prampolini e Burri, inserendosi a pieno nel discorso, appaiono come due alchimisti. Nonostante le differenze biografiche e artistiche, entrambi vedono il mondo come potenziale materico: la stessa terra, fuoco, aria e acqua diventano filtri dalla quale ricercare e creare opere. Hanno aperto nuovi varchi, tutt’oggi vissuti dagli artisti contemporanei; la sperimentazione – anche teorica – di Enrico Prampolini da un lato, l’intuizione primigenia di Alberto Burri dall’altro. Prampolini Burri. Dalla Materia traccia sapientemente un percorso critico in cui il focus – oltre che, chiaramente, la Materia – diventa lo scambio individuo/mondo e individuo/individuo inserendo i profili biografici in un racconto organico, tra storia personale e collettiva. Dopotutto, sono le intersezioni che hanno la stessa forza generatrice della Materia.
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Buongiorno trovo interessante e importante essere informata delle varie realtà culturali come stimolo e promemoria da valutare