Exhibition Opening STATIC CINEMA in Venice curated by Slavitsa Veselinovic & Danila Tkachenko
Si sa: a Venezia è tempo di cinema. Tra red carpet e prime visioni, la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica trasforma la laguna in un set diffuso, dove l’immagine in movimento invade ogni spazio. Proprio dal cinema —dal suo linguaggio e dalla sua grammatica—trae linfa vitale l’esposizione Static Cinema, a cura di Danila Tkachenko e Slavica Veselinović.
Sviluppata negli ampi spazi post-industriali di CREA – Cantieri del contemporaneo, sull’isola della Giudecca, la mostra ci propone un racconto in cui il cinema si cristallizza: mantiene la proprio poeticità e diventa fotografia d’artista. Un movimento inverso, insomma, a quello della genealogia mediale che dalla fotografia ha portato ai primi film, ma che funziona altrettanto bene.
Affondando le radici in un humus filosofico e concettuale ben definito —in primis l’idea di immagine-movimento di Gilles Deleuze e i simulacri di Baudrillard— le fotografie qui presentate riflettono un’attenzione per il flusso temporale: sono attimi rubati in cui il confine tra realtà e rappresentazione si dissolve.
Come racconta infatti il curatore Tkachenko: «Ci interessa il momento in cui la fotografia smette di essere un frammento congelato del movimento e diventa un modo di pensare il tempo. Static Cinema esplora i confini tra immagine in movimento e immagine statica, e riflette su come il cinema influenzi altri media — come, la videoarte e la scultura e la fotografia appunto». Static Cinema si situa così in un territorio liminale, dove il film influenza fotografia, videoarte, scultura — e dove, al contempo, questi media restituiscono al cinema nuove possibilità di esistenza.
Tra gli scatti in mostra, scoviamo set cinematografici, le ciglia candide di un cavallo, ritratti dei grandi protagonisti del cinema, le scarpette rosse di un fotogramma di Lars Von Trier: stimoli diversi, dunque, che nel loro susseguirsi creano un bombardamento visuale dal sapore poetico.
Interessante poi —come ogni volta che appare in un’esposizione— è il lavoro del canadese Jon Rafman. Il suo video A Man Digging (2013), gioca con il linguaggio del videogioco per creare una narrazione in cui stati di stasi e di movimento si rapportano l’uno con l’altro. Il lavoro, certo, stride un poco con il contesto in cui è stato esposto: una vecchia barca riadattata per l’occasione, che però ha poco a che vedere con l’immaginario iper-tecnologico che caratterizza tutta la produzione di Rafman.
«Il cinema è la forma d’arte che pensa il tempo» scriveva Deleuze. Static Cinema ci mostra come questo pensiero possa arrestarsi, cristallizzarsi, eppure continuare a generare movimento dentro di noi. Le fotografie e i video in mostra non si limitano infatti a citare il linguaggio filmico: lo interrogano, lo sospendono, lo ribaltano.
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