Categorie: Mostre

Scritture telluriche: le tele organiche di Renata Boero in mostra a Macerata

di - 31 Luglio 2025

[Taccuino, pagina senza data] «Renata Boero – Camminando tra le superfici qualcosa ha iniziato a cedere».

Riapro il taccuino per iniziare ad abbozzare questo articolo e, dentro le pagine già fitte di altri appunti, trovo quest’unica annotazione. Come se la mano avesse subito – proprio là – una sorta di black-out tellurico. Paradosso spiazzante per un grafomane, che di solito si manifesta quando lo sguardo inciampa su certe faglie dell’esperienza, fratture percettive in cui il tempo sembra ripiegare su sé stesso o srotolarsi a rovescio, e il pensiero per un attimo si arresta. Ricordo che anche lo spazio, di colpo, ha cominciato a contrarsi: pareti e solai si sono avvicinati in una sorta di assestamento geologico. E la materia, nel suo mormorio tattile e olfattivo, anziché lasciarsi annotare, si è fatta essa stessa voce. Voce viscerale e primitiva che poco o nulla ha più di umano.

Renata Boero, Ritratto, 2025

È così che le sensazioni di una simile gravitas emotiva riaffiorano ora che cerco le parole per restituire Renata Boero. Teleri, la mostra ospitata dai Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi di Macerata fino al 9 novembre e curata da Vittoria Coen e Giuliana Pascucci. Una selezione di grandi lavori realizzati su tela tra gli anni Settanta e Duemila: superfici monumentali, percorse da lente proliferazioni e affioramenti irregolari di sostanze organiche lasciate agire come presenza viva, non addomesticata. Il pigmento naturale – estratto da terra, radici, erbe, tuberi – intride il tessuto attraversandolo come un respiro silenzioso: Boero lo affida al tempo, all’umidità, alla luce, lasciando che la pittura accada al di fuori del gesto. Una prassi che eccede l’intenzionalità dell’artista per affidare all’irriducibile processualità della materia – e ai suoi esiti imprevedibili e non replicabili – il compiersi di una scrittura naturale.

Renata Boero, Cromogramma Terra, 1980-1990, colori vegetali e tecnica mista su tela, cm 230×370

Debitamente piegate e infuse in bagni tintori – come nella pratica dei Cromogrammi – o direttamente sepolte nel terreno per lunghi periodi – così avviene nelle Ctò-nio-grafie – le tele di Boero si organizzano come antichi fogli tipografici, dove ogni campitura (o più propriamente pagina), metonimicamente, diventa cellula narrativa del racconto cosmico, frammento qualunque di realtà raccolto nel pieno del suo dispiegarsi vitale, nel suo incessante divenire-forma. Queste quadrature che scandiscono ritmicamente la trasudazione cromatica – a loro volta idealmente sezionabili ad infinitum – visualizzano, tentandone un possibile elenco, ciò che incuba e scalpita negli interstizi non frequentati dalla coscienza ordinaria. Boero ci trascina così nelle viscere del mondo, in quel grembo indifferenziato in cui il pensiero non può prender parola. È lì che qualcosa ci obbliga a ritrarci. Disarmati, colti da una docile ricettività, ci lasciamo pre-disporre all’ascolto del non-detto della materia: il linguaggio della Terra che dice del nostro essere-nel-mondo.

Renata Boero, Allestimento Teleri, 2025, Macerata

Poi – improvviso – il dissesto. Per chi si abbandona alla contemplazione, queste mappe infinite iniziano a muoversi, rivelandosi capaci di abitare il tempo in modo laterale, carsico, disarticolato. E, in un attimo, quegli stessi archivi che portavano inciso il codice della nostra memoria biologica ancestrale rivelano una dimensione ulteriore: quella di reperti oracolari, resti virtualmente sopravvissuti di un territorio calcinato, riarso da una possibile catastrofe futura. Catastrofe? O piuttosto l’insorgere di una rinnovata notte originaria, in cui le energie di trasformazione, residuo irriducibile di resistenza, danzano sui resti di un ordine ormai disfatto? Ecco allora che l’arte di Boero è perfetta testimonianza del mistero che precede, circonda, ma soprattutto travalica l’uomo, custodendo le tracce, siano esse reliquie o germogli, di un’alterità ancora a venire. Per questo la sua è, fin dal principio, un’azione di affidamento radicale alla natura, ai suoi tempi lenti, alle sue pratiche eccedenti. Una scelta di prossimità che rinuncia a plasmare la realtà a propria misura per lasciarsi, invece, attraversare senza difese. In questo ribaltamento si apre lo spazio per un mondo finalmente decolonizzato dell’immaginario, della volontà e del linguaggio antropocentrico, e cui è restituita una soggettività propria. È qui che natura e cultura tornano a coincidere come intreccio dinamico, continuo esercizio di coabitazione e reciprocità.

Renata Boero, Ctò-nio-grafia “paesaggio in rosa”, (anni 2000), colori vegetali e tecnica mista su tela, cm 90×90

[Taccuino, stessa pagina] «Torno qui a scrivere. Penso ai salmerini citati da Cormac McCarthy al termine del romanzo post-apocalittico La strada. Pesci di torrente con “mappe del mondo in divenire” incise sul dorso che raccontano di un cosmo sempre incandescente. Le tele di questa mostra nuotano nelle stesse crepe del tempo, custodendo ciò che è stato e ciò che ancora pulsa sotto la cenere. Scrivo per continuare ad ascoltarne il respiro sotterraneo».

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