Categorie: Mostre

STABAT di Lulù Nuti a Roma: il gesto che diventa memoria

di - 5 Giugno 2025

Laureata all’École Nationale Supérieure des Beaux Arts de Paris nel 2012, Lulù Nuti vive e lavora tra Roma e Parigi. Attraverso scultura, installazione e disegno, l’artista impiega materiali da costruzione, spesso in combinazione ad elementi del mondo naturale, per realizzare opere installative che si rapportano intimamente con il contesto ambientale in cui vengono create. La sua pratica è connotata da un sostanziale dualismo allusivo ai binomi concettuali antitetici di presenza e rimozione, rottura e solidità, resistenza e fragilità. I suoi lavori partono da un essenziale presupposto legato alla responsabile consapevolezza delle problematiche che investono la vita contemporanea, esprimendo spesso un senso di inadeguatezza rispetto alla capacità di poterle fronteggiare. Lulù Nuti osserva e analizza la nostra percezione della realtà, il cambiamento delle nostre abitudini e il rapporto che abbiamo con la natura, per creare tracce e testimonianze del nostro presente.

Lulù Nuti, STABAT, 2025. Installation view at ADA, Rome

STABAT parla di un’assenza osservata. Il titolo, caricato di valore laico, richiama la parte iniziale dello Stabat Mater, celebre sequenza del XIII secolo, attribuita a Jacopone da Todi, allusiva alla sofferenza della Madonna nel corso della Crocifissione e della Passione di Cristo. STABAT racconta di qualcosa che “era”, “era stante, in piedi”, dunque di una “presenza”, di un’entità esistente o che è esistita e contestualmente rievoca una connotazione di dolore, patimento, di problematicità, di dramma legato a qualcosa di perduto.

L’idea di questa mostra nasce più di un anno fa, ma ha preso corpo e si è concretizzata solo dopo l’incontro con gli spazi della galleria ADA. La scultura, abbandonando il pavimento e abitando le pareti della galleria, si tramuta da elemento osservato a elemento osservatore divenendo testimone silente di ciò che accade o di chi vive, anche fugacemente, lo spazio, «uno spazio dove echeggia una crisi della materia» ci racconta Lulù Nuti.

Lulù Nuti, STABAT, 2025. Installation view at ADA, Rome

Le sculture in ferro battuto, tutte ideate per l’occasione, sono state realizzate in collaborazione con Jadran Stenico, un fabbro d’arte con cui l’artista collabora dal 2018. Questa pratica è di per sé emblematicamente allusiva all’essenziale importanza del lavoro artigianale – definito da Lulù Nuti come una «forma di resistenza» – la cui tradizione rischia di andare progressivamente perdendosi. L’esigenza di una profonda riconsiderazione delle attività legate alla produzione artigianale, delle cosiddette arti minori o arti applicate, appartiene a un processo che ciclicamente nella storia critica si è riproposto. Normativo è il caso degli studi ottocenteschi di William Morris (1834-1896) nei quali un’avversione radicale nei confronti del prodotto industriale e dell’aspetto conseguente della serialità, ben esemplificato dalla fondazione del movimento Arts and Crafts, si accompagna all’auspicio di un ritorno alla situazione vigente nel Medioevo nella quale l’artigianato rivestiva un ruolo essenziale all’interno della produzione artistica.

Lulù Nuti, STABAT, 2025. Installation view at ADA, Rome

Create sulla base di un criterio astrattizzante, talvolta aniconico, le opere in mostra talora evocano dettagli di teste di animali presentate in chiave fortemente stilizzata ma rese dinamiche attraverso l’utilizzo di linee curve e fluide. La prospettiva dall’alto conferisce un’aura di autorevolezza e ieraticità: sulle pareti sembrano diventare corpi animati che svelano frammenti di un vissuto. Il ferro, scolpito, conserva i segni di chi lo ha lavorato. Il gesto si fa memoria rivelando dettagli legati al calore della forgiatura, ai colpi impressi, alla pressione esercitata sulla materia che sembra sprigionare l’eco del fabbro che ha creato quelle forme. Non un suono definito e riconoscibile, ma una vibrazione, una tensione interiore che – secondo l’artista – può essere percepita solo dagli animali.

Queste teste ci osservano, ci giudicano o forse tendono a seguire la nostra traiettoria all’interno dello spazio riecheggiando un’opera di Lulù Nuti risalente al 2022 esposta al Parco Archeologico dell’Appia Antica, Fin dove si stende la vista, qui regna l’attimo, il cui titolo cita la celebre frase di un componimento (Attimo, 2002) della poetessa polacca Wisława Szymborska. L’opera rappresenta un girasole la cui direzione cambia rispetto alla posizione dell’osservatore e richiama l’immaginata funzione delle opere in mostra alla galleria ADA.

Testimoni di storie recenti e antiche, ideali involucri deputati a conservare e tramandare racconti, al contempo queste opere divengono fonte, per chi le osserva, per una proiezione ideale dei propri stati emotivi e del proprio trascorso esistenziale. In un’atmosfera, da un lato immutabile, coerentemente con la fissità dei corpi ferrei, ma, al contempo, irrorata da un ideale “divenire”, l’artista si chiede se in questa mostra manca un’opera: «chissà se c’è mai stata? Al suo posto ci siamo noi. L’anima e la forma sono la stessa cosa».

Lulù Nuti, DUE TESTE, 2025, wrought iron
1 element: 60 x 20 x 20 cm approx. 2 elements: 64 x 80 x 17 cm

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