PIPPO RIZZO Treno notturno in corsa, 1926 collezione privata Courtesy Archivio Pippo Rizzo, Palermo
Per celebrare i 120 anni di attività delle Ferrovie dello Stato Italiane, il VIVE Vittoriano ospita, fino all’11 gennaio 2026, Le ferrovie d’Italia (1861-2025). Dall’unità nazionale alle sfide del futuro, a cura della Direttrice Edith Gabrielli e in collaborazione con Lorenzo Canova, nel comitato scientifico della mostra. La mostra interseca la storia d’Italia con quella del treno, dall’Unità fino a oggi, scandendo un viaggio visivo lungo il tempo, dall’idea originaria alla creazione delle ferrovie, nel 1905, fino all’attuale fase di innovazione tecnologica.
La mostra offre una panoramica del ruolo centrale che il sistema ferroviario ha posseduto nel processo di modernizzazione del nostro Paese, intrecciando vari aspetti di questo strumento, non solo come mezzo di spostamento ma anche come occasione di unione: «Ma più di ogni altra riforma amministrativa, la ferrovia ha consolidato la conquista dell’indipendenza nazionale», scriveva Camillo Benso, conte di Cavour, cui è dedicato nella prima sezione della mostra anche un busto di Ignazio Boggio.
L’iniziativa ci conduce, dunque, non solo all’interno della storia delle Ferrovie, ma anche nell’immaginario degli artisti che l’hanno rappresentata: dallo sguardo commovente e sospeso di De Nittis al dinamismo vibrante di Umberto Boccioni, dove l’energia futurista trasforma il treno in nuovo mito del presente. Si procede con le piazze assolate e isolate di Giorgio De Chirico, con i suoi treni che rompono il silenzio in lontananza, come frattura in ciò che rimane immobile.
Poi gli schermi fumè di Mario Schifano, i treni-giocattolo di Jannis Kounellis che si fanno materia ludica e sperimentale, aprendo un varco sulla memoria industriale, in un dialogo aperto con i Giocattoloni di Renato Mambor degli anni Novanta. Accanto a Kounellis, la presenza di Pino Pascali che non solo timbra l’immagine del treno ma ne cattura lo spirito: in fondo, ciò che le rotaie hanno rappresentato per l’Italia, sono una chimera della modernità, ferro e bulloni, secondo l’occhio di «Un bambino, mentre chi lo osserva non lo raggiunge nella sua età e nel suo gioco».
Infine, le opere dell’artista contemporaneo Andrea Lelario, col suo segno fisico impresso nell’arte e nel territorio. Prima osserviamo due dei suoi caratterizzanti “taccuini”, entrati a far parte della collezione permanente della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea – GNAMC, a seguito della mostra Un racconto lungo un viaggio (2025). Queste opere, simili a mosaici, si compongono di taccuini, grovigli contemporanei di memorie dell’autore. Alcuni di essi sono incastonati, scelti per svelare l’abisso e la leggerezza della poetica di Lelario. «Il taccuino diventa un mezzo di trasporto. Non è più un oggetto chiuso, un piccolo recinto di carta, ma una soglia che si apre su uno spazio viaggiante, un territorio che si consuma nel suo stesso nomadismo ferroviario», spiega l’artista in una nostra conversazione.
Poi, un modellino in scala 1/87 (ACME) del Freccia Rossa, con la grafica esatta da cui si origina la sua attività incisoria. «Con la gioia primordiale connessa al gioco col trenino elettrico, qui l’adulto riscopre, attraverso il gesto del disegnare in movimento, lo spazio. Il paradosso è qui: un’interiorità che non si ripiega su sé stessa, ma che si spalanca verso l’esterno, seguendo le vibrazioni della rotaia», conclude Lelario.
Il treno e il taccuino mutano, così, la propria funzione, come il tema di questa mostra. Diventano pupilla mobile che sfiora il vuoto e lo riflette a ogni sobbalzo. Ogni partenza e ogni arrivo non si fanno più tappe, ma impulsi, continue accensioni dello sguardo. Il viaggio, allora, cessa di essere un luogo di tramite da un punto all’altro. Si trasforma in un’esperienza abitabile, un modo d’esplorare lo spazio, come una freccia che attraversa più dimensioni, del ricordo e dell’immaginazione, che vibra a contatto con quell’esistenza che scorre fuori dal finestrino.
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