Andrea Marchesini, Lost in my somewhere nowhere, olio, smalto e gesso su tessuti vari 155x174 cm, 2024
È quasi un ambiente immersivo quello che accoglie il visitatore sull’isola della Giudecca in occasione di The Universal Form of ONE, personale di Andrea Marchesini (Verona, 1973), a cura di Martina Cavallarin con Antonio Caruso e Matteo Scavetta. La mostra, organizzata da Techne Art Service e promossa da TAIT Gallery, si snoda negli spazi dell’ex fabbrica — ora sede di CREA — trasformandoli in un percorso multisensoriale.
L’entrata è un ambiente ampio, affollato da lunghi e coloratissimi stendardi: una sorta di foresta di tessuto che richiede di essere attraversata. I drappi oscillano al passaggio, sfiorano chi li percorre, e creano giochi di luce e movimento che amplificano la percezione dello spazio. Sul fondo, una proiezione alterna dettagli delle opere esposte: scampoli di luce che restituiscono volti, occhi, trame di colori vivaci, quasi un mosaico in continua trasformazione. Suono, tessuto e video si impastano, sovrapponendosi e stratificandosi per costruire un racconto che si articola su più livelli.
Ed è proprio questa stratificazione il cuore della ricerca di Marchesini: il suo lavoro si nutre di accavallamenti, di elementi semiotici che si intrecciano, di una continua tensione tra la materia e l’immagine. L’artista mescola con sapienza tecniche e materiali eterogenei, attingendo tanto alla grande tradizione coloristica veneziana quanto all’Art Brut di Jean Dubuffet. Le sue opere sono dense, pastose, costruite attraverso l’accostamento di olio, acrilico, gesso, smalto, ma anche superfici specchianti e stralci di tessuto. Ogni elemento è portatore di una storia, di un’identità, e contribuisce a costruire una visione che è più della somma delle sue parti.
Come suggerisce il titolo della mostra, The Universal Form of ONE, Marchesini sembra infatti ricercare un principio di unità tra frammenti, una sintesi visiva e concettuale che si nutre della molteplicità. I materiali dialogano tra loro e si fondono in un linguaggio che è al tempo stesso materico e simbolico, evocativo e concreto.
Come scrive Martina Cavallarin nel testo che accompagna l’esposizione: «In Marchesini c’è una vitalità moderna, derivata dalla storia di pittura tonale nata nella città lagunare nella quale l’artista si è formato, declinata in chiave contemporanea grazie a un altro carico di significati culturali che si riconoscono, manifestandosi, in un’opera che rispetta una vasta gamma di qualità».
Questa vitalità prosegue anche al piano superiore, dove una quadreria di dipinti illumina lo spazio con i suoi toni accesi. Qui, tra una serie di specchi decorativi e un divanetto che invita alla sosta, l’allestimento si fa più intimo, quasi una pausa meditativa dopo l’immersione nella densità del piano inferiore. Il riflesso negli specchi amplifica il gioco di sovrapposizioni e rimandi, portando il visitatore a interrogarsi sulla propria posizione all’interno di questo universo fatto di connessioni e stratificazioni.
L’intero percorso espositivo è un’esperienza sinestetica che mette in tensione la visione e il tatto, il movimento e la riflessione, l’individuale e il collettivo. In questo senso, Marchesini non costruisce solo un ambiente da osservare, ma uno spazio da attraversare e abitare, un’opera totale che invita a perdersi tra i dettagli per riscoprire, in una nuova forma, l’unità del tutto.
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