Michaelina Wautier, Ragazzi che soffiano bolle, 1640 ca, Seattle, Seattle Art Museum Photo by Nathaniel Willson
Nonostante le intense ricerche, poco si conosce della vita di Michaelina Wautier (1614 ca-1682), e come spiega Gerlinde Gruber, quasi non esistono suoi dati biografici, né documenti o lettere con cui ricostruire la sua vita e la sua carriera in maniera dettagliata; nonostante questa lacuna, è considerata una delle pittrici più importanti del suo tempo. Nata a Mons attorno al 1614, in una famiglia numerosa e colta, si trasferì a Bruxelles con il fratello Charles, anch’egli pittore, con il quale condivise la casa e forse l’attività di bottega. La sua formazione rimane avvolta nel mistero: non sappiamo se fu Charles a insegnarle a dipingere o se avesse già maturato competenze a Mons. Resta da chiarire anche se lavorassero insieme o se ognuno perseguisse la propria carriera in via autonoma.
Tuttavia, il loro rapporto doveva essere particolarmente stretto, poiché sembra accertato – grazie alla recente scoperta che il Ganimede Medici sembra essere la fonte dell’unico disegno conosciuto di Michaelina – che la pittrice compisse un viaggio in Italia insieme al fratello. In un’epoca in cui artiste come Clara Peeters e Rachel Ruysch si concentravano principalmente sulla natura morta, sui fiori, o sulla pittura di genere – perché nel XVII secolo alle donne era proibito lavorare con modelli nudi – Wautier trovò con sicurezza il suo riconoscimento anche nella sofisticata pittura storica, quindi la mostra offre una prospettiva femminile sui temi pittorici tradizionali e sul corpo maschile. All’epoca, la Controriforma gettava la sua ombra, per mezzo della Spagna, anche sulle Fiandre, e Bruxelles, pur essendo un fiorente centro commerciale, in particolare per gli arazzi e i merletti, subiva le imposizioni morali del dominio spagnolo; tuttavia, la vicinanza con le riformate Province Unite lasciava passare qualche folata di liberalismo, e ciò regalava al mondo della cultura un clima leggermente meno costrittivo, del quale beneficiò anche Michaelina Wautier.
Michaelina Wautier deve essere annoverata fra le artiste che superano il Barocco e anticipano il Settecento, raggiungendo un equilibro in termini di grazia e naturalezza, prima della rigidezza neoclassica che chiuderà il secolo. Una delle caratteristiche più interessanti del suo stile è quella delicatezza che nel secolo successivo si ritroverà in Jean-Baptiste-Siméon Chardin, e più tardi in François Boucher; ne sono un esempio Ragazzo che fuma la pipa e Due ragazzi che si disputano un uovo, dove la naturalezza delle espressioni e delle pose sottolinea il superamento della monumentalità barocca. La medesima delicatezza spicca nell’autoritratto dell’artista, dove la morbidezza dell’abbigliamento, elegantemente severo nel mantello nero ma addolcito dal bianco della veste di seta bianca, rivela una spiccata femminilità.
Le figure di Wautier, pur solenni, non sono caratterizzate da magniloquenza, anzi si caratterizzano per l’aura di sobria pensosità che le avvolge, per quell’idea di silenzio che le circonda. Anche i ritratti religiosi, come il gesuita Martino Martini o il San Giovanni adolescente, mancano di quella severa ieraticità tipica invece delle opere barocche. Martini, inoltre, colpisce per gli abiti cinesi che indossa, in un momento storico in cui i gesuiti, sulla scia di Matteo Rocci, erano molto attivi nel Celeste Impero. Una selezione di oggetti e capi d’abbigliamento cinesi, o di foggia ad essi ispirata, pur risalente all’Ottocento, contribuisce a riprodurre la suggestione di quei primi, prolungati contatti fra Europa e Cina.
Wautier ha utilizzato una varietà di fondi di colore diverso nella sua opera: lavorando su fondi monocolore (rosso o color cuoio), così come sui fondi bicolori. L’uso della terra rossa, in particolare, denota la conoscenza della pittura dell’Europa meridionale, forse una conoscenza diretta, forse mutuata attraverso altri artisti fiamminghi. In ogni caso, siamo davanti a un’artista che cercava di ampliare il proprio punto di vista.
Un punto d’indubbio interesse della mostra è, in anteprima europea, la serie I cinque sensi, costituita da altrettanti dipinti di scene di genere in cui bambini o adolescenti, in un’atmosfera giocosa, esercitano appunto il gusto, l’olfatto, eccetera; quadri che rifulgono per la spontaneità con cui i soggetti popolano la tela, e che fecero di Wautier una pittrice innovativa. Questi dipinti ispirarono profondamente l’opera del compatriota Michael Sweerts (1618–1664). Anche per questa ragione, Michaelina Wautier, con Sofonisba Anguissola e Artemisia Gentileschi, fa parte di un ideale gruppo di artiste che, in Europa, contribuì al rinnovamento e al superamento della pittura barocca, verso una nuova arte più gioiosa e realistica.
Le 31 opere di Wautier – nella mostra curata da Gerlinde Gruber e Julien Domercq, in collaborazione con la Royal Academy of Arts di Londra – sono inserite in un contesto artistico di altri 50 dipinti di importanti pittori suoi contemporanei, in modo da offrire al pubblico un adeguato e approfondito confronto fra stili, ma anche per far meglio comprendere come all’epoca non fosse facile agire in un mondo, quello dell’arte, quasi esclusivamente maschile. Nemmeno le Fiandre facevano eccezione, e infatti la “cornice” è costituita da Gaspar de Crayer, Anthony van Dyck, Peter Paul Rubens, Theodoor van Loon, e lo stesso Charles Wautier, fra i più importanti esponenti dell’arte fiamminga, dai quali Michaelina ha in diversa misura tratto ispirazione, elaborando però il suo personalissimo stile.
Una mostra di grande caratura non soltanto estetica ma anche scientifica, che oltre a diffondere al pubblico la conoscenza della figura di Michaelina Wautier la inquadra nel contesto storico-sociale in cui operò e la pone a confronto con importanti artisti suoi contemporanei; una mostra, quindi, che travalica il singolo e diventa il racconto di un’importante stagione di passaggio dell’arte moderna europea.
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