Una partitura polifonica a sei voci e i versi di Edoardo Sanguineti in dialogo con 18 opere polimateriche. È la “rappresentazione vocale” al centro dell’impianto narrativo di Voci in Capitolo di Mirco Marchelli a cura di Paolo Bolpagni e Giovanni Battista Martini, inaugurata lo scorso 12 febbraio presso la Fondazione Biscozzi Rimbaud a Lecce, visitabile sino al 2 luglio.
L’approccio da compositore musicale di Marchelli si snoda attraverso l’installazione sonora diffusa nelle tre stanze della Fondazione e i polimaterici suddivisi in 3 gruppi da sei. «Un’opera totale», afferma Bolpagni, che si realizza attraverso la scrittura di tre madrigali composti dallo stesso artista, partendo dal Miserere tratto dai Responsoria di Gesualdo Da Venosa. L’intervento strutturale su qualcosa che già esiste contrassegna la pratica di Marchelli sia come compositore che come artista visivo; così, la modifica della partitura del compositore cinquecentesco trova corrispondenza nell’intervento sulla materia di cui si compongono le opere.
I 18 elementi site specific, realizzati a seguito di un primo sopralluogo nel capoluogo salentino nel 2021, costituiscono un ciclo compatto e organico. Tutti di uguale dimensione, figurativi e geometrici, sono ricavati da oggetti di uso comune, come legno, tessuto, aste di bandiere su cui l’artista è intervenuto manipolando e fondendo gli elementi. Più simili a “moduli” che a veri ready made, le opere sono caratterizzate da variazioni cromatiche aderenti alle voci: quelle legate al soprano, ad esempio, presentano colori chiari, quelle legate ai tenori toni più neutri. Il ritmo figurativo delle linee tondeggianti, triangolari, romboidali conduce il visitatore al senso dei rimandi linguistici contenuti nei versi di Edoardo Sanguineti, tra memoria e risonanza. Una destrutturazione semantica, un’operazione linguistica, in cui l’elemento sonoro è inscindibile da quello visivo, portatore di storie come la materia di cui sono composte le opere, tra incisioni, tagli, sovrapposizioni.
Come lo stesso Marchelli afferma, «la musica non è la sonorizzazione della mostra né le opere sono una traduzione visiva». Ed è forse nella reciprocità tra parti, protese tra coscienza e memoria, che sembra rivolgersi il lavoro dell’artista, seguendo la riflessione di H. Bergson secondo cui il tempo vissuto non coincide con il tempo oggettivo; così, il tempo della coscienza è simile a quello della melodia: non una successione oggettiva di singole note, ma un legame armonioso compatto realizzato al fine di percepire le note singole.
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