Rijksmuseum, Amsterdam, installation view.
Può l’arte – la sua produzione e la sua fruizione – avere un impatto positivo e tangibile sulla salute pubblica? A inserirsi in questo dibattito è il Rijksmuseum di Amsterdam, che parteciperà, come da poco annunciato, a uno studio scientifico internazionale al fine di indagare il contributo che l’esperienza estetica può avere sui sintomi del Parkinson. La ricerca, sostenuta dalla Michael J. Fox Foundation con un finanziamento di 200mila dollari, si propone quindi di analizzare in modo sistematico come l’arte possa incidere sul benessere dei pazienti affetti da una delle più diffuse patologie neurodegenerative.
Lo studio si articolerà lungo un periodo di 18 mesi e metterà a confronto i risultati riscontrati in tre diversi gruppi di pazienti: chi non entrerà in contatto con alcun tipo di esperienza artistica, chi visiterà e osserverà le opere della collezione del Rijksmuseum, e chi sarà coinvolto attivamente in percorsi di produzione creativa. Questa ripartizione permetterà di verificare se e in che misura la fruizione e la pratica artistica possano ridurre sintomi come tremori, ansia e stress, migliorando al tempo stesso la qualità della vita e le risposte cognitive.
Sarà Bas Bloem, direttore del Centre of Expertise for Parkinson and Movement Disorders del Radboud University Medical Center di Nijmegen a coordinare lo studio del Rijksmuseum. La sua ipotesi è che l’attività artistica e l’esposizione all’arte possano incidere sui livelli di dopamina, il neurotrasmettitore la cui carenza è alla base della malattia di Parkinson. Come ha raccontato lo stesso Bloem: «Serve dopamina per essere creativi ma allo stesso tempo è la sua mancanza a causare il Parkinson. E quando si somministra dopamina come terapia, talvolta si osserva un aumento della creatività. Questo rende l’arte particolarmente interessante non solo per la salute mentale, ma in modo specifico per il Parkinson».
Una fase pilota del progetto ha già coinvolto un primo gruppo di pazienti, invitati a lavorare insieme a diversi artisti all’interno di uno spazio concepito come un laboratorio creativo aperto. I risultati, secondo Bloem, sono stati sorprendenti: diminuzione significativa di stress e ansia, comparsa del cosiddetto “stato di flow”, attenuazione dei tremori e una sensazione generale di benessere che persiste oltre il momento della pratica artistica. Un dato particolarmente rilevante riguarda la riduzione delle visite ospedaliere: «Le persone andavano dagli artisti invece che dai medici», osserva Bloem, sottolineando come questa dinamica potrebbe avere conseguenze anche sulla sostenibilità dei sistemi sanitari nel lungo periodo.
Il coinvolgimento del Rijksmuseum rappresenta un passaggio chiave nell’evoluzione della ricerca. Il museo metterà a disposizione dei partecipanti tour digitali, abbonamenti annuali gratuiti e speciali aperture serali a bassa stimolazione sensoriale, pensate per ridurre i fattori di stress legati a folla e rumore. Sarà così possibile osservare con maggiore precisione come la semplice fruizione delle opere incida sul piano neurologico ed emotivo.
Se le ipotesi di un impatto positivo dell’esperienza estetica sulle malattie neuro degenerative verranno confermate, il progetto del Rijksmuseum potrebbe segnare una vera e propria svolta nel modo di pensare le istituzioni culturali come infrastrutture del benessere collettivo.
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