È uno dei musei più visitati al mondo, tra i simboli di Amsterdam e della cultura olandese. Eppure, a più di 50 anni dalla sua inaugurazione, il Museo Van Gogh sta attraversando una fase di incertezza finanziaria che potrebbe addirittura rischiare di compromettere la sua stessa esistenza.
Nel 1962, Vincent Willem van Gogh, nipote dell’artista, decise di donare allo Stato olandese l’immenso patrimonio di famiglia – oltre 200 dipinti, 500 disegni, 900 lettere e opere di autori contemporanei – a patto che fosse garantita la costruzione e la manutenzione di un museo pubblico permanente. La collezione fu quindi donata alla Fondazione Vincent van Gogh e l’edificio principale, progettato da Gerrit Rietveld, fu inaugurato nel 1973. L’ala dell’architetto Kisho Kurokawa fu completata nel 1999.
Oggi il museo genera autonomamente l’85% delle proprie entrate, una percentuale altissima per un’istituzione pubblica, a testimonianza del suo successo internazionale. Ma proprio la crescita straordinaria – quasi 57 milioni di visitatori in 50 anni, con un picco di 2,6 milioni nel 2017 – ha portato con sé un effetto collaterale prevedibile: l’usura degli edifici.
Le strutture museali non sono più in grado di rispondere agli standard di sicurezza, sostenibilità e climatizzazione richiesti. Impianti obsoleti, mancanza di ricambi, carenze energetiche e normative sempre più stringenti impongono un intervento radicale.
Per questo è stato elaborato il Masterplan 2028, un progetto di ristrutturazione da 104 milioni di euro che prevede tre anni di lavori, durante i quali il museo resterà parzialmente aperto. L’obiettivo è sostituire gli impianti, garantire l’efficienza energetica e mettere in sicurezza la collezione, i visitatori e il personale.
Il nodo, però, è finanziario: lo Stato olandese eroga annualmente 8,5 milioni di euro, insufficienti a coprire i costi. Per andare avanti servirebbero almeno 11 milioni annui, lasciando così un buco strutturale di 2,5 milioni. Il museo ha già stanziato fondi propri, coprendo anche i mancati introiti previsti durante i lavori (circa 50 milioni di euro) ma da solo non può sostenere l’intero peso dell’operazione, come ha spiegato la direttrice Emilie Gordenker al New York Times.
Il museo ha chiesto quindi un aumento del suo sussidio governativo annuale di circa 10 milioni di dollari per finanziare le riparazioni del sistema di climatizzazione e degli ascensori e per migliorare la sicurezza antincendio, la protezione e la sostenibilità. «Abbiamo verificato e ricontrollato, analizzato diversi scenari, e ci mancano circa 30 milioni di euro che, a nostro avviso, un aumento dei sussidi annuali di 2,5 milioni di euro potrebbe coprire», ha affermato Gordenker.
Ma dal Ministero dell’Istruzione, della Cultura e della Scienza hanno risposto che il museo avrebbe dovuto provvedere personalmente alla copertura del deficit. «Il sussidio per il Museo Van Gogh è calcolato su un importo fisso che viene corretto annualmente in base all’inflazione, secondo una metodologia utilizzata per tutti i musei nazionali», si legge in una nota.
Il museo ha quindi presentato un ricorso contro lo Stato, che probabilmente porterà a un’udienza in tribunale nei prossimi mesi. Il ricorso sostiene che lo Stato olandese abbia violato l’accordo del 1962 firmato con la Fondazione Vincent van Gogh, istituita nel 1960 dal nipote ed erede dell’artista per preservare l’ampia collezione di opere rimaste invendute alla sua morte e che è conservata con una formula di comodato perpetuo presso il Museo di Amsterdam. «Il Museo Van Gogh riceve uno dei sussidi per metro quadro più elevati tra tutti i musei nazionali», continuano dal Ministero, sostenendo che «L’uso di questa metodologia non costituisce una violazione dell’accordo originario».
La Fondazione Vincent van Gogh ha espresso «Profonda preoccupazione» per l’accessibilità futura delle opere, ricordando il patto del 1962: «Una promessa fatta è una promessa da mantenere, anche quando si tratta di un governo». Che però, al momento, si trova in una situazione di stallo.
La crisi finanziaria del Museo Van Gogh si intreccia infatti con un quadro politico incerto nei Paesi Bassi: il governo guidato dal tecnocrate Dick Schoof è crollato a giugno dopo l’uscita dei ministri del partito di estrema destra Geert Wilders e ad agosto ha perso anche il sostegno del partito NSC con le dimissioni del ministro degli Esteri. In attesa delle elezioni anticipate del 29 ottobre 2025, il museo si trova dunque a dover affrontare il proprio futuro in un contesto istituzionale fragile.
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