La National Gallery of Art di Washington DC, una delle istituzioni museali più prestigiose degli Stati Uniti, ha annunciato la chiusura temporanea a causa dello shutdown governativo, scattato ufficialmente a mezzanotte e un minuto del primo ottobre 2025. Con un comunicato diffuso nei giorno scorsi, il museo ha dichiarato che, a partire dal 5 ottobre, le porte del museo rimarranno temporaneamente chiuse e tutti i programmi saranno sospesi «Fino a nuovo avviso». Si tratta del primo grande museo di Washington costretto a sospendere le proprie attività per effetto della paralisi amministrativa.
Lo shutdown, la chiusura parziale delle attività del governo federale, si verifica quando Congresso e Presidente non riescono a raggiungere un accordo sul bilancio: in assenza di una legge di spesa approvata, lo Stato non può erogare fondi pubblici e molti uffici vengono chiusi o ridotti al minimo. Solo i servizi considerati essenziali, come difesa e sicurezza, continuano a funzionare, mentre gli altri, come musei, parchi nazionali e agenzie culturali, sono costretti a interrompere le attività.
Sul sito della Casa Bianca è comparso anche un contatore con la didascalia “Democrat Shutdown”, che accusa apertamente i democratici di essere responsabili dell’interruzione. Circa 900mila lavoratori federali sono stati licenziati e altri 700mila lavorano senza retribuzione. Ogni giorno di chiusura del governo costa milioni di dollari – la chiusura del 2018 fece segnare una perdita di 11 miliardi all’economia americana.
L’attuale shutdown rientra in una sorta di muro contro muro tra governo e opposizione. L’ultima votazione al Congresso ha visto i repubblicani respingere la proposta dell’opposizione volta a prorogare i sussidi dell’Obamacare, nodo centrale del confronto politico. I finanziamenti, destinati a scadere nel 2025, rientrano infatti nel piano di tagli alla spesa sanitaria promosso dalle riforme di Donald Trump. In precedenza erano stati i democratici a bloccare la “continuing resolution” presentata dai repubblicani, il provvedimento che consente di estendere temporaneamente le linee di bilancio in attesa dell’approvazione delle nuove leggi finanziarie. La scadenza del primo ottobre interessava circa un quarto dell’intero bilancio federale, generando così un impatto significativo su numerose agenzie e istituzioni pubbliche, tra cui i principali musei nazionali.
In questo contesto, la National Gallery, che riceve una parte significativa del proprio finanziamento dal governo federale, ha dovuto sospendere mostre e programmi in corso, annunciando la cancellazione di tutti gli eventi pubblici. Lo shutdown potrebbe inoltre compromettere una delle sue iniziative più attese: la grande mostra dedicata all’arte indigena australiana, prevista per il 18 ottobre e presentata come la più ampia mai realizzata al di fuori dell’Oceania, con oltre 200 opere provenienti dal National Gallery of Victoria di Melbourne.
Al momento, l’esposizione figura ancora in programma sul sito del museo ma la sua apertura resta incerta se lo stallo politico dovesse prolungarsi. Intanto, lo Smithsonian Institution, che gestisce altri grandi musei della capitale, ha annunciato che resterà aperto utilizzando fondi propri, anche se non si sa per quanti giorni.
La situazione riflette una crisi politica ormai ricorrente negli Stati Uniti. L’ultimo shutdown di lunga durata, tra il 2018 e il 2019, ancora sotto la presidenza di Donald Trump, paralizzò per 35 giorni l’amministrazione federale, con gravi conseguenze anche per il settore culturale e turistico.
Nonostante le tensioni, la National Gallery, guidata dalla direttrice Kaywin Feldman, ha finora evitato commenti politici diretti. Tuttavia, le recenti politiche federali hanno già inciso sul suo assetto interno: il museo ha dovuto ridimensionare i programmi di inclusione e diversità in seguito a un ordine esecutivo del governo Trump che denunciava le iniziative DEI – Diversity, Equity and Inclusion.
In attesa di un accordo al Congresso, le sale che ospitano la grande collezione nazionale americana, con capolavori dei maestri della storia dell’arte, da Leonardo e Vermeer a Rothko e Pollock, resteranno temporaneamente vuote.
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