Atto secondo: la collezione, una mostra che più che un concept vanta una trama. Una trama di rapporti nazionali ed internazionali costruita a Napoli negli ultimi 12 anni di “edonismo bassoliniano”. Una mostra che nasce non tanto da un’idea curatoriale, ma da alcune disponibilità di prestito.
Tutta l’esposizione ruota intorno ad un prestito molto significativo, di 28 opere, da parte della gallerista newyorkese Ileana Sonnabend, ben corroborato da 12 opere offerte dal collezionista napoletano Ernesto Esposito (sì, lo stilista) e 9 del gallerista milanese Christian Stein. Si raggiunge il totale di 96 opere in mostra grazie alla collaborazione di 12 collezionisti privati, 7 artisti, 7 gallerie e 4 fondazioni.
Non si elencano qui numeri per amore di statistica, ma per comprendere le dimensioni di un fenomeno bizzarro che porta il nome di “prestito a tempo indeterminato”, pratica che poco garantisce i proprietari circa i tempi di ri-appropriazione delle opere e alla quale si sono volontariamente sottratti alcuni potenziali prestatori. Tutto ciò fa si che la scelta delle opere in mostra si riduca alle effettive disponibilità di mutuo e non a libere opzioni curatoriali.
Va riconosciuta, ad ogni buon conto, la capacità organizzativa il merito di aver saputo mescolare le diverse proposte di prestito, cercando di dare alla mostra un senso di excursus storico attraverso gli accadimenti artistici, prevalentemente italiani, tedeschi ed americani, dagli anni ’60 agli anni ’90.
Ma venendo alla mostra quanto sin qui detto comporta una netta prevalenza nelle sale espositive di opere di piccolo formato, dalla scarsa vocazione museale, fra le quali spiccano, secondo un principio manierista di “enfasi al negativo”, i prestiti della collezione Burri.
Da segnalare invece, per bellezza ed importanza storica, i quattro Achrome ed un Uovo n.29 sopravvissuto alla performance di Piero Manzoni del 1960 Consumazione dell’arte, provenienti dalla collezione della gallerista milanese Claudia Gianferrari; le tre Attese di Lucio Fontana del ’59; un Diagramma terremoto e una lavagna reduce dalle performance didattiche di Joseph Beuys. E, ancora, un ironico Luigi Ontani vestito e desnudo che riecheggia Goya; un omaggio di Michelangelo Pistoletto a Claes Oldenburg con, a fianco, le opere originali dell’artista naturalizzato americano; uno splendido e sempre emozionante Carlo Alfano con Frammenti di un autoritratto anonimo del 1970.
Tutte opere che, insieme con un bellissimo Terrae Motus di Nino Longobardi, una Porta Coeli di Francesco Clemente, quattro Bob Rauschenberg, due Bruce Nauman d’annata e una sanguinante ferita di Anish Kapoor, valgono ben una visita.
Nel dare un giudizio complessivamente positivo sul lavoro svolto dai dirigenti pubblici campani nel collocare e reperire le opere, non si può non pensare che sarebbero bastati pochi anni di vita in più a Lucio Amelio, per poter incontrare le persone giuste alle quali affidare la propria collezione. Oggi, forse, Terrae Motus, anziché a Caserta, sarebbe a Napoli.
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è una pratica che"praticano"tutte le gallerie e musei.se non si hanno i soldi si fa il natale con i fichi secchi.un saluto di buon anno 2006 a tutti..............
ma alla fine i fichi secchi li mangiano tutti!
...ma almeno questo sembra un museo, Rivoli al contrario sembra la raccolta di un collezionista stitico !!!