Una
sensibile differenza ha dimostrato
Candida Höfer (Eberswalde,
1944; vive a Colonia) in questa nuova serie di sedici fotografie appena
realizzate a Napoli, nell’osservare i luoghi di culto sacro e profano. Ambienti
speciali come possono essere le chiese, ma anche gli archivi, le biblioteche e
i teatri, sedi di devozione particolare da parte di un pubblico che di quei
luoghi è spesso abitante.
Höfer guarda la città campana senza lasciarsi sedurre dai
vicoli brulicanti di persone, dai grandi spazi urbani affollati, ma entra in
silenzio negli ambienti, svuotandoli eccezionalmente dalla presenza umana. La
scoperta che ne fa è sensazionale. Architetture in cui si percepisce
chiaramente la maestosità regale del passato nella
Reggia di Portici, edificata per volere di Carlo
III di Borbone, dove l’attenzione al giusto equilibrio delle parti fotografate
è dato dal sentirsi catapultati in quell’imbuto prospettico determinato dagli
affreschi piuttosto che dallo spazio reale.
Accompagnata solo dal silenzio, che ha spento il brusio di
fondo, Höfer ha colto ogni dettaglio del sistema di tavoli, balconate e
scaffalature dove sono posti i volumi antichi della
Biblioteca Oratoriana
Statale del
complesso nazionale dei Girolamini, dell’
Archivio di Stato – dall’insieme bicromo di bianco e
marrone di documenti e librerie, compensato dalla tavolozza di colori
affrescati nel soffitto – e della
Biblioteca Nazionale.
Miniere ricche di atti e libri d’arte, come il Fondo
Lucchesi Palli, immortalato nella sua assoluta simmetria, dettata dalle lampade
pendenti dal soffitto. Quel senso di grandiosità diventa così attuale, sebbene
anche per il conoscitore di Napoli alcuni di questi luoghi rimangano alle volte
difficili da visitare, come il
Salone dei Busti di Castel Capuano.
Spazzate via le persone perché “
sono una
distrazione alla visione dello spazio“, come afferma la fotografa tedesca, la luce,
rigorosamente naturale, domina gli ambienti. Occupa i tre quarti dell’interno
della chiesa di
San Francesco di Paola, dove la neoclassica volta a riquadri, decorati
con dentelli e fioroni, risulta impressa con la forza sottile di un tratto
grafico.
Assenza di presenze umane anche nel luogo per eccellenza
frequentato da visitatori, come il Museo di Capodimonte, che ospita la serie
degli
Arazzi con la battaglia di Pavia,
o la chiesa della
Certosa di San Martino, sfavillante nel bianco dei marmi
enfatizzato dalla luce zenitale che invade la navata.
L’impostazione prospettica dell’assolutezza architettonica
appresa alla scuola di
Bernd e Hilla Becher è elemento fondante della poetica
di Höfer, ma il salto qualitativo appare come una capovolta verso il passato
rinascimentale – di tradizione italiana – che fonda le regole matematiche per
la costruzione dello spazio.
Negli scatti meditati di Höfer, la luce che segna i
dettagli riempie lo spazio ma invita allo stesso tempo a entrare, a percorrere
i lunghi corridoi del
Lazzaretto di Santa Maria della Pace e a sedersi sui palchi del
Teatro San Carlo. Per godersi uno spettacolo,
quello dell’architettura.