L’inedita cornice di un capannone industriale eletto a museo d’arte contemporanea. 750 metri quadrati capaci di estendere le capacità produttive di un’industria metalmeccanica. A Casandrino è nato il BAD Museum che per l’occasione non ha badato a spese e, tra performance di poesia e musica, presenta le opere di Carlo De Meo (Maranola, Latina, 1966).
Entrando, a dare il benvenuto, è un carro armato, realizzato con la maestria degli operai della Bunker, l’azienda che ha promosso la nascita di BAD. L’opera riproduce uno dei veicoli di combattimento più avanzati dell’esercito americano: il modello A2 Abrams; costruito di dimensioni ridotte e tinto di un colore grigio-verde simile a quello dell’ambiente circostante. Elemento integrante dell’opera (che si presta a volute molteplicità di letture) è il titolo, Another Bad Creation, che spicca a grandi lettere sul cannone. Ma, per quanto sia forte e diretta l’immagine del carro armato, e per quanto sia attuale il tema della pace e della guerra, la sua forma entra a far parte di un’ironia di derivazione pop e mette in risalto la fisicità stessa dell’autore. È il suo sguardo perplesso, infatti, (che del cannone può essere considerato il bersaglio) che agisce da stimolo e acquista forza proprio per il costante rinvio al dialogo tra autore, spettatore e opera.
Un dialogo, comunque, che viene rimesso in gioco presto: con le trecentoquaranta sedie di una platea animata dall’efficacia plastica e dalla vena beffarda dei due protagonisti. L’espressione e i gesti creano una situazione di suspence tutta da decifrare e una mescolanza di suggestioni riguardo al rapporto tra mimesi e realtà.
La particolarità, poi, sta nel fatto che, anche in quest’opera, quella delle figure è la faccia dello stesso De Meo (riprodotta grazie alla sua puntigliosa e abilissima tecnica scultorea), ma anche in quell’unico e ampio vuoto centrale inteso come luogo d’incontro di tutte le tensioni di questo gioco di simulazioni e inganni.
Esiste un filo tenace che lega tutte le opere della mostra: disposte secondo un particolare ritmo e con un’intensità cromatica che si risponde dai diversi angoli dello spazio espositivo.
L’artista mira a creare ogni volta uno spazio mediano, dinamico e agente, in cui l’opera raggiunge la piena realizzazione e in cui le altre unità si definiscono come segni. In Lemanintesta, ad esempio, è per mezzo del vuoto che l’artista fa interagire il verde e il rosso delle due stampe fotografiche. Certo, tale combinazione suggerisce i colori di una precisa identità simbolica, ma non si può dire che esprime messaggi ideologicamente orientati, poiché la curiosa gestualità del protagonista (l’artista stesso) basta a dare all’opera un tono parodistico più che politico.
Al benearrivato BAD un forte augurio di buon lavoro.
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