Via il pennello, via i colori. Dimenticate l’artista romantico, immerso in nature sublimi, a sfogare su tele e cavalletti l’inquietudine creativa. Oggi l’artista è un animale sociale, che nutre il proprio ingegno scrutando il suo simile, guardando un telegiornale.
Lo sa bene
Mark Raidpere (Tallinn, 1975), artista figlio dell’Estonia di Skype e Arvo Pärt che, alla prima personale in Italia, presenta quattro video in cui attraversa vite grandi e piccole, adottando sempre un piano di ripresa in soggettiva, che quasi costringe lo spettatore a essere partecipe dell’evento.
Così, teneramente si sorride ad
Andrej, giovane omosessuale che si esibisce nel night un po’ spartano dove lavora come cameriere per raccontare i suoi sogni di ballerino. Un commosso turbamento accompagna invece
Father: la ripresa volutamente sfocata sull’arredo, consumato dal tempo e dall’uso distratto, costituisce l’accesso alla stanza del padre dell’artista. Gli oggetti diventano il prolungamento della persona, raccontando una vita di alcolismo e schizofrenia.
Soggettivo, privato, intimo è anche il modo scelto da Raidpere per riflettere sulla Storia.
Majestoso Mistico è un dittico multimediale dove le immagini di una tranquilla strada di Stoccolma, animata da due musicisti, scivolano accanto a quelle di una Tallinn stuprata, il 26 aprile 2007, da scontri violenti, innescati dalla decisione di abbattere un monumento commemorativo dei soldati sovietici. Un contrasto forte, che si acuisce scoprendo che i due momenti hanno in comune il tempo – le riprese documentano due eventi accaduti in contemporanea – e l’uomo-Raidpere, a Stoccolma al momento degli scontri nella sua città.
Dall’universale al particolare, l’artista estone preleva chirurgicamente una costola dal costato di una vicenda di risonanza mondiale e la indaga per dimostrare l’essenza della storia, il suo essere insieme di microcosmi d’individualità in cui quotidianamente si consumano vicende personali influenzate dagli eventi, ma al tempo stesso capaci di concorrere a essi.
Il matrimonio tra individuo e storia si trasforma in un
ménage à trois quando, al primo piano della Fondazione, s’incontra un secondo artista proveniente dal profondo nord. Con lo spirito di un antropologo-avventuriero,
Sven Johne (Bergen-Island Rügen, 1976; vive a Lipsia) documenta i segreti di un’isola, Vinta, il cui nome sembra quasi essere un oscuro presagio di sconfitta e impotenza.
Vinte sono, infatti, le navi da trasporto di
Ship Cancellation, affondate in tutti gli oceani tra XIX e XXI secolo; vinte sono le speranze di tutti coloro che, per settant’anni, avevano tentato di esportare sull’isola fermento e modernità. Per l’artista, il mare non apre orizzonti di alcun tipo e, anzi, delimita con la sua invalicabile distesa uno spazio ristrettissimo, che è poi lo spazio dell’individualità di ognuno.
In essa trova rifugio il vecchio custode dell’isola che compare in
Elmenhorst. Sopraffatto dalla solitudine, chiede al giovane al suo fianco di sparare a sagome indistinte che dice di scorgere all’orizzonte. Ma il moto delle onde verso la spiaggia ricaccia a terra ogni cosa e restituisce il cadavere invisibile di fantasmi della mente, la dimensione aliena del nostro inconscio.