Categorie: Opening

Carrara si sveglia | d’estate

di - 8 Luglio 2017
Carrara è una città un po’ speciale, e forse è per questo che ci piace tanto: ha un’anima “montana”, imprenditoriale, legata indissolubilmente all’estrazione, alla lavorazione (forse più in passato che oggi) e all’esportazione del suo pregiatissimo marmo bianco. Che è poi quel materiale che dà il tipico colore argenteo alle montagne che sorgono quasi a ridosso della città, che allo stesso tempo è a sette chilometri dal mare. Perché è un po’ speciale Carrara? Perché sembra una piccola addormentata, lontana dallo schiamazzo e dal traffico della “marina”, e vicina a una dimensione più intima, quasi di abbandono. E di anarchia. Lo dicono spesso gli stessi abitanti, e forse anche questa atmosfera di “isolamento” ne conferisce un autentico fascino.
Ma Carrara da qualche anno durante il periodo estivo si anima di arte e cultura; dapprima c’erano le Biennali della Scultura, poi le Marble Weeks e oggi una serie di mostre diffuse in diversi spazi del centro storico che, associate a vari “inciampi” che troverete sul vostro percorso (targhe rimaste da precedenti manifestazioni, vicoli piantumati che ricordano persino le calli veneziane e tag che la dicono lunga sul lato ribelle dei carraresi) sono perfette per scoprire questo gioiellino della Lunigiana.
Da oggi, aperte al pubblico, al CAP Centro Arti Plastiche troverete “Le immagini reinventate”, un percorso espositivo che la curatrice Lucilla Meloni ha ideato partendo dall’idea del frammento, dell’uso e del riuso e dell’appropriazione di “fonti” note da parte degli artisti, che qui traslano pagine di riviste, fotografie, o – come nel caso di “Verifica Incerta” di Baruchello e Grifi, che apre la mostra, sono stati veri e propri capisaldi per quella che è stata la post-produzione e la ridefinizione del materiale iconografico di ogni tipo. E così c’è Gea Casolaro che come un’archeologa scova i set di famosi film francesi innestando in foto metropolitane scattate oggi le scene dell’epoca, creando un mimetico mash-up a volte quasi surreale, o Mauricio Lupini che con le pagine di Domus firmate da Gio Ponti ricrea un “Diorama Penetrable” citando Soto e l’architettura venezuelana del periodo, ponte tra il Paese sudamericano e il tricolore, immergendo le mani in quel che resta del Modernismo.
All’Accademia di Belle Arti, splendido esempio d’architettura, nella maestosa Aula Magna, tra copie in gesso un altissimo soffitto intarsiato, si svelano invece una serie di recenti “Tappeti Natura” di Piero Gilardi: effetto assicurato, e potete anche sedervi sui celebri tronchi in poliuretano dell’artista piemontese, giusto per prendervi un attimo di contemplazione.
Dulcis in fundo, nelle sale ottocentesche di Palazzo Cucchiari – Fondazione Giorgio Conti, trenta sculture provenienti dal Museo Ermitage di San Pietroburgo e da collezioni pubbliche e private italiane, per “Dopo Canova. Percorsi della scultura a Firenze e a Roma”. Un classico, in un panorama – anche geografico – più che variegato. (MB)

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