Categorie: Opening

Il caso “Maria Lai”

di - 17 Gennaio 2018
Sì è proprio così. Quello di Maria Lai (Ulassai, 1919-Cardedu, 2013) è oggi un vero e proprio caso nel sistema dell’arte globale. Sto parlando di quella “fata” che nel lontano 1981 si legò, insieme alla sua piccola comunità della natia Ulassai (nel cuore sardo dell’Ogliastra), alla montagna sovrastante, per materializzare lo spazio delle relazioni, del rapporto tra ambiente fisico, luogo e collettività. Quando un nastro di tela jeans celeste lungo ventisei chilometri, portato fin sulla cima della montagna da tre scalatori, scese per attraversare e legare tutte le case del paese, nessuna esclusa. Ecco il suo capolavoro antesignano dell’arte cosiddetta “relazionale” che si svilupperà un decennio dopo, nella seconda metà degli anni Novanta. Una creatività, quella di Maria, visionaria, declinata quotidianamente al femminile, nella dimensione fantastica e narrativa degli impasti di bambini di pane e, soprattutto, nel gioco di intrecci di fili e ricordi, tra telai e tele cucite, fate (le “janas” dei racconti sardi) applicate su libri di stoffa con spartiti musicali e fiabe magiche. E, ancora, mappe astrali con incantate descrizioni di galassie e di pianeti misteriosi proiettate in punta d’ago oltre il tempo e lo spazio, verso l’infinito cosmico. Il filo cucito è stato, insomma, il motivo conduttore della ricerca di Maria Lai e, forse, della sua stessa longeva parabola esistenziale. Un filo finalmente riscoperto e dipanato da critica e mercato internazionali. Solo pochi mesi fa Christine Macel, scegliendola come epicentro del terzo padiglione della sua Biennale di Venezia, quello dello Spazio Comune, la definì, non senza rammarico misto a sorpresa, ancora “poco conosciuta all’estero”. Ebbene, a meno di un anno da queste parole, finalmente tutto è cambiato. Non a caso Artsy, il colosso dei siti del commercio online di arte contemporanea, inserisce Maria Lai nella short list dei “14 artisti di cui si parlerà a lungo dopo la Biennale”. Oltre alla partecipazione alla 57° Biennale di Venezia arriva, infatti, quella a Documenta 14, nell’edizione ateniese e in quella di Kassel. Il 2017 porta, poi, con sé anche l’annuncio della potente gallerista americana Marianne Boesky di rappresentare negli Stati Uniti l’opera di Maria Lai che, pochi giorni dopo, fa la sua comparsa nello stand della Boesky di Art Basel Miami Beach, con prezzi tra 30mila e 200mila dollari. Il 2018 si inaugura oggi a Roma, nello Studio Stefania Miscetti, con la personale “Pagine” che riserverà al pubblico circa quaranta, preziose, opere realizzate dall’artista sarda tra gli anni Cinquanta e gli anni Duemila, tra interventi su tavola e su carta, ceramiche, libri e teli cuciti. Il mese di febbraio prossimo sarà segnato da un’antologica, oltreoceano, nella sede di Aspen di Marianne Boesky. A marzo i fili e nastri colorati di Maria Lai varcheranno, invece, la soglia degli Uffizi a Firenze, mentre in tarda primavera invaderanno le sale della prestigiosa Galleria Bortolozzi di Berlino. E l’agenda del 2019 non sarà da meno. Si sono già prenotati, infatti, sempre Marianne Boesky, questa volta per la sua sede nel cuore della Grande Mela, e “Magazzino of Italian Art”, nello stato di New York – precisamente nella località Cold Spring – sulle rive dell’Hudson, dei due mecenati Nancy Olnick e Giorgio Spanu, che possiedono una delle più ampie collezioni di arte italiana del dopoguerra presenti al momento negli Stati Uniti. (Cesare Biasini Selvaggi)
In homepage: Maria Lai, Libro cucito, 1996 foto di Simon d’Exéa © Archivio Maria Lai
In alto: Maria Lai, Pagine, exhibition view at Studio Stefania Miscetti, 18 gennaio-31 marzo, foto di Simon d’Exéa
INFO
Opening: ore 18.00
Maria Lai. Pagine
dal 18 gennaio al 31 marzo 2018
Studio Stefania Miscetti
via delle Mantellate 14, Roma
orari: da martedì a sabato, dalle 16.00 alle 20.00, o su appuntamento
t/f 06 68805880 – www.studiostefaniamiscetti.com

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