Categorie: Opening

Palermo-Roma, coast to coast

di - 23 Giugno 2018
Ieri a Palermo è stato giorno di studio-visit. Questa volta, dietro indicazione di un conoscente, sono stato indirizzato allo studio di Francesco Cuttitta (Palermo, 1988). Per quanto provi a farci l’abitudine, la città, i suoi palazzi restaurati o diroccati, i suoi abitanti, per non parlare poi dei suoi artisti residenti, riescono sempre a stupirmi. Mi ritrovo in via Bandiera, faccio il consueto slalom tra le bancarelle da suk mediorientale, strabordanti di merci d’ogni genere e prezzo. Arrivo al civico che avevo annotato, citofono, e vengo invitato prima “su a casa per un caffè”. Salgo la rampa di scale di un palazzo che ha conosciuto anni migliori. Mi trovo di fronte al pianerottolo del primo piano. La porta di casa reca un curioso buco attraverso il quale mi sembra che passi un cavo elettrico. Forse per l’illuminazione interna dell’appartamento. Vengo accolto da Francesco Cuttitta, alto, magro, dal sorriso cauto e lo sguardo imperturbabile da statua neoclassica. L’abitazione dove vive risale agli ultimi anni dell’Ottocento. E sembra che, da allora, lo scorrere del tempo si sia accanito sempre sugli stessi oggetti. Sui mobili di noce nazionale, sulle pareti e le carte da parati, sulle mattonelle di gusto liberty che provano a sopravvivere, barcollanti, alla pressione dei piedi che le calpestano. Anche la grande cucina, dove prendo il mio caffè, sembra lamentarsi come chi chiede di essere finalmente mandato in pensione. In questi ambienti, che si susseguono l’uno dentro l’altro, vivono sempre temporaneamente ospiti di Francesco di passaggio a Palermo. Luoghi e persone che “precipitano” poi, puntualmente, più o meno consapevolmente, nei suoi disegni e dipinti su carta o tela. Che mi vengono mostrati poco dopo. Non in casa o nello studio al piano terra. Completamente svuotati in occasione della personale dal titolo “Per dare una misura a tutte le cose”, in corso presso la galleria d’arte dell’Associazione Nuvole Incontri d’Arte, dove ci dirigiamo. E qui si apre un nuovo, ennesimo mondo parallelo. Situato in vicolo Ragusi 35, a due passi dai Quattro Canti, nel cuore del mandamento Monte di Pietà, questo spazio espositivo occupa il piano terra di Palazzo Principe di San Vincenzo, di recente completamente ristrutturato. Quando entro al suo interno mi imbatto subito nella collezione di lavori di Francesco, allestiti in grandi ambienti luminosi dagli alti soffitti, in un’infilata di sale che conducono a una fornita biblioteca di libri d’arte dalle avanguardie storiche ai giorni nostri. Ogni tanto, poi, qua e là, oltre a qualche scampolo di design, individuo qualche disegno, un grande dipinto e delle sculture di Antonietta Raphaël, artista della Scuola Romana, nonché moglie del pittore Mario Mafai, nonché nonna di Raffaella De Pasquale, proprietaria della Galleria (e del B&B al piano di sopra) in cui mi trovo. Praticamente scopro uno scampolo di Roma, un suo piccolo avamposto culturale, in quel di Palermo. Eppure in questo contesto, tutt’altro che neutro quanto a suggestioni visive, sembra che si dipani un fil rouge lungo oltre un secolo, tra Palermo e Roma. Dalla pennellata visionaria, spesso selvaggia e violenta, di una certa “scuola palermitana” odierna, fino a quella allucinata e fortemente espressiva della lezione di Scipione e company del secolo scorso. Mi riprendo da questi miei pensieri e comincio a concentrarmi nella visione dei lavori in mostra di Francesco, per cui sono venuto. Ancora acerbo su alcuni versanti tecnico-compositivi, lo reputo tuttavia un giovane da seguire. In particolare, mi intriga la sua figurazione (da autodidatta), che si è appropriata degli strumenti espressivi del suo tempo, della mass-culture e dei mass-media: il fumetto, il cinema, soprattutto i cartoon e i videogiochi. Da questi mutua le sequenze narrative, tra scene di vita nelle strade e in appartamenti piccolo-borghesi. È un pittore narrativo dall’imprinting da graphic designer che deve raccontare una storia nel quadro, cioè mettere in uno spazio limitato più cose possibili con la maggiore intensità conseguibile; e l’esempio più funzionale per ottenere questo risultato è il fumetto e la sua trasposizione animata (tipo “I Griffin” o “South Park”). Talvolta, Cuttitta si trasforma in un obbiettivo che dipinge e spia un evento, dietro una persiana, vicino a una pianta ornamentale d’un balcone di casa sua, le cui foglie appaiono in primo piano. Spesso l’angolo visivo è posto quasi all’altezza del pavimento, come quello di un bambino, che vede svolgersi davanti a sé una scena senza poterla spiegare, e la registra soltanto. La caratteristica distintiva dei suoi lavori, su carta (a oggi i più convincenti) o su tela che siano, risiede proprio in questo, nello sguardo allucinato che l’artista-voyeur punta sulle cose, provando a rivelarne la segreta, nonché crudele, bellezza, quella per intenderci che trasuda da ogni dove a Palermo. (Cesare Biasini Selvaggi)

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