Categorie: Personaggi

Addio, Sergio

di - 13 Ottobre 2005

Anche Sergio Citti (Fiumicino, 1933) si aggiunge, purtroppo, alla lista degli artisti scomparsi che hanno fatto grande il cinema italiano negli anni Sessanta e Settanta, prima dell’Apocalisse. Dopo Federico Fellini, Renato Rascel, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi e Albertone, ci lascia l’amico eterno e fedelissimo collaboratore di Pier Paolo Pasolini. Capace anche, però, di forgiare uno stile proprio, che chiaramente deriva da quello del maestro-fratello, ma che riesce a sviluppare e ad evolvere il suo modello, adattandosi proprio alle trasformazioni drammatiche dell’Italia post-1975.
Allora, la visualità cinematografica di Citti vira decisamente verso il grottesco, trasfigurando la poesia del post-neorealismo (dai casi letterari di cui egli è praticamente coautore (e consulente per il dialetto romano a vantaggio del friulano Pasolini, Ragazzi di vita e Una vita violenta, fino a Salò o le 120 Giornate di Sodoma, 1975) in una sorta di horror morale. Le vicende dei disgraziati e degli scellerati, figli e nipoti dell’archetipo Accattone (1959), sono dipinte da Citti -sotto la guida attenta ed affettuosa di Pasolini- a tinte forti e fosche, con un gusto barocco e debordante che lo accomuna, negli stessi anni, a Fellini (Satyricon, 1969, Amarcord, 1973, Casanova, 1977) e per certi versi anche ad un altro regista, lontanissimo nel genere e negli interessi: Lucio Fulci (soprattutto la trilogia composta da Paura nella Città dei Morti Viventi, L’Aldilà, Quella villa accanto al cimitero, 1980-81).
Lasciando da parte lo stra-cult Febbre da cavallo (Steno, 1976), che da solo basterebbe a garantirgli un posto di tutto riguardo nella storia del cinema, in film come Ostia (1970), Storie Scellerate (1973) o il bellissimo Casotto (1977), con una adolescente Jodie Foster, Gigi Proietti, Cathrine Deneuve, Mariangela Melato, Michele Placido ed Ugo Tognazzi, Citti riesce a deviare e a proseguire in maniera dignitosissima (e ricca anche di ulteriori spunti) l’opera di rifondazione delle immagini che aveva caratterizzato a tutto tondo l’intera attività di Pasolini.
Fino agli ultimissimi Vipera (2000) e Fratella e Sorello (2005), film certo modesti, che soffrono la pressione economica e psicologica della produzione postmoderna, ma che dimostrano se non altro l’abilità dell’autore nel circondarsi di nomi normalmente considerati ‘inavvicinabili’ (come Harvey Keitel e Giancarlo Giannini), e che comunque si stagliano come operae magnae se paragonate ai lungometraggi –quelli sì mediocri, e senza attenuanti- del ‘Giovane Cinema Italiano’.
E allora ripensiamo al boccacciano Ser Ciappelletto, interpretato dal fratello Franco, che all’inizio del Decameron uccide a bastonate, come una bestia, un povero malcapitato rinchiuso in un sacco: ma il più grande peccatore diventerà il più grande santo. È così che funziona. Vero Sergio?

christian caliandro

[exibart]

Visualizza commenti

  • "DOVE CI STAI PORTANDO?" "CHE CAZZO NE SO?!?"
    Sergio Citti "Il Minestrone" (era l'ultima battuta del film, pronunciata da Giorgio Gaber)
    Ciao Sergio, era bello vedervi quando mangiavate a Fiumicino.

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