È morto a Milano, all’età di 94 anni, Giorgio Forattini, tra i più noti e controversi vignettisti italiani. Nato a Roma il 14 marzo 1931, Forattini ha attraversato oltre 50 anni di storia repubblicana, raccontandone i protagonisti con un segno tagliente, ironico e spesso divisivo, capace di scatenare entusiasmi e polemiche.
Formatosi al liceo classico e iscritto per breve tempo alla facoltà di Architettura, iniziò la propria carriera tardi, dopo aver svolto diversi lavori, da rappresentante di prodotti petroliferi a operaio, finché nel 1971 vinse un concorso per disegnatori bandito dal quotidiano Paese Sera. La sua prima vignetta di rilievo fu pubblicata in prima pagina nel 1974, all’indomani della vittoria dei “No” al referendum sul divorzio: una bottiglia di spumante con la scritta “NO” che si stappa, lanciando in aria un tappo con le fattezze di Amintore Fanfani.
Da allora la sua carriera fu legata ai più importanti quotidiani italiani. Collaborò con Panorama, poi con la Repubblica, dove nel 1978 fondò e diresse Satyricon, il primo inserto di satira di un grande giornale italiano, aprendo la strada ad autori come Sergio Staino ed Ellekappa. Negli anni successivi lavorò per Il Male, La Stampa, Il Giornale e infine per il Quotidiano Nazionale, mantenendo sempre una presenza costante nel dibattito pubblico.
Il suo tratto riconoscibile e la sua satira diretta, che trasformava i leader politici in personaggi di un bestiario immaginario e caricaturale, hanno inciso profondamente nell’immaginario collettivo. I suoi bersagli privilegiati furono Bettino Craxi, Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi, Umberto Bossi, Romano Prodi, Giuliano Amato ma anche Giovanni Spadolini, Enrico Berlinguer e molti altri. Celebre la sua vignetta del 1992, subito dopo l’attentato a Giovanni Falcone, in cui disegnava la Sicilia come la testa di un coccodrillo che piange, un’immagine che divenne simbolo di una stagione di dolore e ipocrisie.
Forattini fu spesso al centro di aspre controversie e di cause legali. Tra le più note, quella del 1999 con D’Alema, allora presidente del Consiglio, per una vignetta pubblicata su la Repubblica in cui lo raffigurava con un bianchetto intento a cancellare la lista Mitrochin: una polemica che segnò la fine della sua lunga collaborazione con il quotidiano. Ma anche Craxi e Occhetto lo portarono in tribunale per vignette considerate diffamatorie.
Definiva la satira «Una forma di giornalismo che racconta il potere con le armi dell’ironia», e sosteneva di non appartenere a nessuna parte politica: «Non sopporto nessun partito, detesto l’integralismo e chi pretende di avere sempre ragione».
Negli ultimi anni viveva tra Roma e Milano insieme alla compagna Ilaria Cerrina Feroni, conosciuta durante la sua lunga collaborazione con la Mondadori. Continuava a disegnare, a scrivere e a seguire la politica italiana con la stessa curiosità e disincanto che avevano guidato la sua intera carriera.
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