Si è spenta il 16 maggio, a 83 anni, Nanda Vigo, classe 1936, milanese doc, di formazione europea, poliglotta, libera, architetto, artista, designer della creatività, dal fisico possente, dotata d’immaginazione plastica. Non amabile, secondo gli uomini che la definivano di carattere non facile, come tutte le donne con una forte personalità. Erede della cultura Rinascimentale che ha incentrato la sua ricerca sul dialogo tra architettura, design e arte, attraverso la luce.
Attratta dal Gruppo Zero (Dusserldorf 1957), eretica pioniera della Light Art negli anni’60, in bilico tra minimalismo, spazialismo e trascendenza, per Nanda Vigo non è stato facile, in un mondo di uomini, perseguire il suo obiettivo di scolpire attraverso la luce tensioni poetiche spaziali. Le sue convergenze tra arte, design e architettura, trovarono nella luce quella plasticità scultorea che assolve un ideale estetico e poetico dell’arte. Compresero e valorizzarono il suo talento Giò Ponti, Lucio Fontana, padre dello Spazialismo. Nanda Vigo fu fidanzata con Piero Manzoni, ma da maschilista qual era, il temperamento sovversivo di Nanda non coincideva con il suo ideale di compagna, perché il genio di casa doveva essere lui.
Queste eclettiche frequentazioni artistiche maturarono in lei una spiccata predisposizione a sperimentare un confronto plastico-architettonico ambientale, che maturò nel 1964 con il Manifesto cronotopico, dal greco chronos e topos: l’unione tra il termine tempo e spazio basato sulla teoria della modificazione dello spazio attraverso la luce e il coinvolgimento sensoriale degli spettatori. Spazi, oggetti, ambienti scolpiti dalla luce, una materia aerea della bellezza, di forte suggestione plastica e poetica.
Vigo in diverse occasioni ha dichiarato di aver scoperto la bellezza della luce, una rivelazione provata da piccola passeggiando a Como, quando era stata attratta dall’armonia strutturale della Casa del Fascio di Giuseppe Terragni. In seguito, la sua frequentazione assidua con artisti, l’ha portata ad elaborare un’articolata continuità tra arte e architettura, soprattutto nella elaborazione degli ambienti.
Nel 1964, in occasione della XIII Triennale di Milano, Nada Vigo collaborò con Lucio Fontana, con l’obiettivo di dimostrare l’intento straniante della luce, attraverso ipotesi di spazio sul filo dell’ambiguità percettiva. Un concetto valorizzato nelle Utopie, nella sezione “Utopie del tempo libero”, ambiente spaziale rosso dal pavimento ondulato, sagomato in legno e ricoperto da alta moquette e tappezzeria rossa a effetto metallizzato, pubblicato su Domus n.418, settembre 1964, la bibbia di nuovi modi di abitare e reinventare la casa. L’installazione è stata ricostruita nell’indimenticabile mostra “Lucio Fontana Ambienti/Environments” al Pirelli HangarBicocca, a cura di Marina Pugliese, Barbara Ferrari e Vincente Todolì, nel 2018.
All’insegna della Life is Light, Vigo collaborò tra il 1965 e il 1968 con Gio Ponti, per la realizzazione della Casa sotto la foglia a Malo, Vicenza, all’insegna di una progettualità spaziale totale. La poliedrica artista realizzò un progetto spettacolare per la casa Museo di Remo Brindisi di Lido Spina, Ferrara, nel 1971, lo stesso anno in cui venne premiata con il New York Award for Industrial Design, per lampade innovative come Golden Gate. In seguito alla sua partecipazione, nel 1982, alla 40ma edizione della Biennale di Venezia, cominciò a imporsi all’attenzione della critica e del pubblico internazionale con opere sempre più ibride tra arte, design e architettura.
Milano rese omaggio alla sua ricerca con la retrospettiva “Nanda Vigo. Light Project” a Palazzo Reale, nell’estate 2019, a cura di Marco Meneguzzo, suo esegeta. Questa mostra è stata presentata anche al MACTE – Museo di Arte Contemporanea di Termoli il 29 febbraio, a cura di Laura Cherubini. Chiusa per il lockdown, riaprirà in questa Fase 2 e sarà visitabile fino al 13 settembre. Online è consultabile il suo archivio e dopo la chiusura dei musei, trovare nella luce un simbolico segno di speranza è un manifesto di rinascita.
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