Categorie: Personaggi

La Turchia che parla armeno

di - 14 Aprile 2015
A cento anni esatti dal genocidio armeno, “il primo genocidio del XX secolo”, secondo Papa Francesco, al Padiglione turco è stato chiamato Sarkis, artista armeno molto noto in patria e all’estero, sin dalla sua partecipazione alla mitologica mostra “When Attitude Becomes Form”. Come penserà il padiglione? Riuscirà a tenere una linea abbastanza diplomatica da non far innervosire nessuno? Lo abbiamo chiesto alla curatrice Defne Ayas, Direttrice del Witte de With Center for Contemporary Art di Rotterdam, già in passato alle prese con la questione armena nel quadro del progetto “Blind Dates”, dove si affrontava la scabrosa eredità geopolitica dell’Impero Ottomano.
Quest’anno cade il centesimo anniversario del genocidio armeno. Scegliere un artista armeno per rappresentare la Turchia significa un passo verso la riconciliazione con il popolo armeno?
«Dato che il 100° anniversario del 1915 è un fatto – indipendentemente se l’invito a lavorare nel Padiglione ci sia arrivato per questo motivo o no – e dato che l’opera di Sarkis contiene e distilla temi che riguardano le conseguenze culturali e storiche della guerra in un periodo così lungo, riconosciamo che questa mostra è un tentativo inedito, e speriamo che i codici inconsci integrati  nell’installazione offriranno nuove occasioni e possibilità per rivisitare le storie».

Nello specifico, come sarà il Padiglione della Turchia alla Biennale di Venezia? E perchè proprio Sarkis, al di là dei recenti fatti politici?
«Pochi artisti hanno saputo combinare una certa spontaneità artistica con una critica sottile della storia così abilmente come Sarkis, non solo in Turchia ma direi in tutto il mondo. E in questo anno così speciale è nostra intenzione dispiegare una proposta che riveli la profonda preoccupazione di Sarkis per l’umanità. Con e attraverso la sua opera, intensa e perfezionista, e grazie al suo ricco arsenale di apparati visivi, architettonici e musicali, ci focalizzeremo sul potere trasformativo dell’arte, oltre che sulla atemporalità e sulla cronologicità del suo lavoro. “Respiro” è il lavoro più impegnativo sul piano personale che Sarkis ha prodotto fino a oggi. Sarkis userà lo spazio del padiglione come un palco dove i suoi lavori possano esplorare le idee di dialogo infinito e trasformazione che sono alla base della sua poetica artistica. La mostra è intitolata “Respiro” e presenta un’installazione di due arcobaleni neon site-specific, due specchi giganti con le impronte delle dita fatte da alcuni bambini con l’acquerello, e da 36 vetrate che mostrano fotografie e immagini trovate – il palmo di una mano che raccoglie un fiamma, una giovane donna che resiste in un vestito rosso, un serafino raffigurato in mosaico su un muro, Hrant Dink [giornalista turco di origine armena assassinato nel 2007 per la sua scomodità politica n.d.t.] sorridente vicino a un banco di melograni, un malato steso che sta morendo, un albero in fiore. Tutte queste immagini chiedono di accordarsi in una messa in scena visuale, che apre la strada a una coscienza condivisa da chiunque gli si avvicini».


A quale respiro si riferisce Sarkis?
«Il concetto di memoria di Warburg come Leidschatz (preziosa collezione di dolori) è stata una guida per noi, così come ha sempre avuto una certa risonanza anche nel suo lavoro. La domanda che abbiamo posto senza posa era: “Come si possono mantenere emozioni e registri emozionali turbolenti, mantenendo viva allo stesso tempo l’energia della memoria culturale?”. Sarkis ama l’idea che la forza vitale, come respiro in italiano, possa scorrere tra i lavori in mostra, inclusi i suoi oggetti iconici, le vetrate artistiche e soprattutto la musica. Il nostro piano è andare oltre la geopolitica, le conseguenze storiche, fino a un contesto più ampio, di più di un milione di anni, risalendo sino alla creazione dell’universo e all’inizio del tempo, indietro sino al primo arcobaleno – il primissimo, magico, punto di rottura della luce. Invece di legarci a specifici aspetti della storia della politica, della religione, della filosofia, e delle arti, abbracceremo contemporaneamente il presente e il lontano passato, nel nostro continuo tentativo di opporci alla stagnazione. In un paesaggio di profonde incertezze, noi proveremo ad aprire uno spazio nel quale il potenziale dell’arte venga rianimato, attraverso il respirare dentro e fuori».
Come si rapporta l’installazione con l’ambiente veneziano? È stata realizzata appositamente per il luogo espositivo?
«L’installazione coinvolge una serie ricorrente di opere, con alcuni lavori commissionati ex novo specificatamente per il luogo, e alcuni realizzati precedentemente, ma che continuamente esplorano e percorrono una nuova rete di significati e rimandi. A Sarkis non piace chiamare vecchio un lavoro, poiché il suo lavoro riguarda sempre la ricerca infinita del dialogo e del significato. Lo spazio è stato comunque una considerazione importante mentre si pensava al posizionamento dei lavori».

Al progetto partecipa anche il compositore Jacopo Baboni-Schilingi. Come interagisce il suo lavoro con l’opera di Sarkis?
«”Respiro”  ha come complemento una composizione di Jacopo Baboni-Schilingi (Milano, 1971), basata sul disegno dell’artista dei sette colori dell’arcobaleno come sistema di partizioni. Aspettatevi un suntuoso allestimento di oggetti, immagini, pensieri, e codici, tirati fuori dalla sua cassa del tesoro, in combinazione con questa colonna sonora che Sarkis ha commissionato a Jacopo. Jacopo ha già lavorato insieme a Sarkis, ma ha dovuto cogliere precisamente l’atmosfera e le intenzioni di Sarkis per “Respiro” prima di comporre il pezzo».
Alcune città ospiteranno altri progetti di Sarkis, c’è un rapporto con l’installazione veneziana, e se sì in che senso?
«Sì, alcune nuove commissioni si potranno vedere in altri luoghi di rappresentanza, come la Hrant Dink Foundation in Istanbul, il  Museum Boijmans Van Beuningen a Rotterdam, lo Château d’Angers, il Domaine de Chaumont-sur-Loire, il Musée du Château des ducs de Wurtemberg a Montbéliard, e il Mamco, Museum of Modern and Contemporary Art a Ginevra. Istituzioni con le quali Sarkis collabora già da lungo tempo, e che ospiteranno i suoi lavori multipli in parallelo con il padiglione della Turchia. Questi continueranno il dialogo l’uno con l’altro».
Sarkis ha vissuto a Parigi gli ultimi cinquant’anni. Secondo te ha conservato con la Turchia un legame abbastanza forte da poterla legittimamente rappresentare alla Biennale di Venezia?
«Sarkis è forse uno dei più prolifici artisti della Turchia, e ogni anno, regolarmente, ha diverse mostre monografiche in Turchia. Ha anche una casa a Istanbul dove risiede spesso, e anche la più vasta collezione dei suoi lavori è conservata in Turchia».
Mario Finazzi

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