Categorie: Personaggi

L’intervista/James Turrell | Il bambino che amava la luce

di - 30 Luglio 2013
Era affascinato dalla luce fin da bambino, tanto da decidere di dedicare tutta la sua vita a questa materia impalpabile, ma così importante nell’arte di tutti i tempi. Una passione fortunata per James Turrell, nato settanta anni fa a Los Angeles e considerato oggi uno dei più importanti artisti del mondo, tanto da essere celebrato con una mostra unica ed irripetibile aperta fino al 25 settembre al Guggenheim di New York, che l’artista ha trasformato in un tempio dedicato al sole. Ma non basta: per chi volesse conoscere meglio il mondo di Turrell, impegnato dal 1976 a trasformare il cratere di un vulcano spento in Arizona, il Roden Crater, in un’opera d’arte, ci sono altre due rassegne dedicate a lui, al LACMA di Los Angeles e il Museum of Fine Arts di Houston. In questa intervista ci racconta del suo lavoro, del passato e dei progetti futuri.
Sono  trent’anni che non espone a New York. Come ha immaginato il suo ritorno a Manhattan?
«Il pezzo forte della mostra al Guggenheim è Aten Reign, l’installazione che occupa la volta della rotonda del museo, realizzata dopo sei anni di progettazione. Si tratta di un’opera che permette ai visitatori di vivere la luce come un’esperienza fisica».
Che cosa intende?
«È un’architettura dello spazio creata con la luce, che nell’arco di un’ora illumina di colori diversi lo spazio del museo, come una cupola di anelli concentrici che può essere vista soltanto dal basso. È una sofisticata combinazione tra la luce naturale che piove dal cielo e cinque grandi anelli ovali di led colorati, che le fanno assumere tinte diverse».
Qual è il significato che dà a quest’opera?
«Mi sono ispirato al momento di passaggio dal politeismo al monoteismo, ed in particolare all’antico Egitto, quando il faraone Akhenaton decise di identificare la divinità suprema con il Sole. Era il 1350 avanti Cristo. Dal pregare mille dei si era passati di colpo ad un unico dio, identificato con la luce solare».
Ha trasformato il Guggenheim in un tempio?
«Una sorta di tempio dello spirito, che non è lontano dal pensiero  del suo costruttore, l’architetto Frank Lloyd Wright , che lo vedeva come una piramide rovesciata».
Che rapporto ha con la luce?
«Fin da ragazzo sono stato affascinato dalla luce, che è stata fondamentale per tanti artisti del passato, da Vermeer a Goya, da Caravaggio agli impressionisti, fino agli espressionisti astratti americani, come Mark Rothko o Ad Reinhardt, che l’hanno abbinata al monocromo, inteso come spazio dipinto dove la luce incontra il colore».
In quanto americano, si sente vicino ad una tradizione statunitense?
«Non mi ha mai interessato dipingere la luce, ma utilizzarla come strumento percettivo. Credo che la luce sia una sostanza forte e potente, ma la sua presenza fisica sembra fragile, quasi impalpabile. Per far percepire la sua potenza l’ho trasformata in un’esperienza».
Quando è cominciata la sua avventura con l’arte?
«Ho esposto per la prima volta al Pasadena Art Museum nel 1967, dove presentavo le Cross Corner Projections,  una serie di proiezioni luminose che avevo realizzato nei tre anni precedenti nel mio studio, che era all’interno di un albergo abbandonato. Oggi quelle opere si possono vedere nella mia retrospettiva al LACMA di Los Angeles».
Ha studiato storia dell’arte?
«No, psicologia e matematica. Più tardi ho preso un master in storia dell’arte».
Torniamo al Guggenheim. Oltre ad Aten Reign, quali altre opere sono presenti in mostra?
«Una serie di opere degli anni Settanta, che erano di proprietà di Giuseppe Panza di Biumo, il mio primo collezionista».
Panza era italiano. Che rapporto aveva con lui?
«Lo conobbi a Los Angeles nel 1967, quando feci la mia prima mostra pubblica. Facemmo amicizia, e poco dopo mi invitò nella sua villa a Varese, dove ho realizzato alcuni lavori. Era un mio grande sostenitore: mi ricordo che prestò le sue opere per la mia mostra allo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1976. Un uomo gentile e amabile, sono rimasto legato a lui e alla sua famiglia per anni».
Ama l’Italia?
«Il vostro è un Paese molto importante per gli artisti. Ho fatto diverse cose in Italia, l’ultima è stata la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 2011, invitato da Bice Curiger».
Dove vive?
«Vivo a Flagstaff, in Arizona. Nel mio studio lavorano tre persone e mia moglie Kwung Lim, un’artista coreana che mi aiuta a gestire i miei progetti a livello organizzativo».
Ha molti progetti in questo momento?
«Diversi, in tutto il mondo. Devo realizzare un lavoro in un fiordo in Norvegia, uno in un ospedale a Zurigo, un altro in un museo in Tasmania, alcuni in Corea e in Cina».

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  • ANCHE LUI NELLA SUA GRANDEZZA ARTISTICA,MOSTRA DI NON COMPRENDERE QUELLO CHE Fà.....Dà COME MOLTI, UN SIGNIFICATO ALLE SUE OPERE,MENTRE IN REALTà ESSE SONO UNO SVELAMENTO TECNO-LUMINOSO,LA LUCE A L.E.D. MOSTRA IL SUO ESSERE IM-MATERIALE.QUI LO SPIRITO C'ENTRA BEN POCO,SE NON DI APPAGAMENTO SENSISTICO E PERCIò ANCHE SPIRITUALE,PIù CHE TEMPIO DELLO SPIRITO,è IL TEMPIO DELLA TECNOLOGIA ATTUALE DELLA LUCE ARTIFICIALE.....LA LUCE DELLO SPIRITO è ANCORA INVISIBILE.

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