Categorie: Personaggi

SISLEJ XHAFA, DA NAPOLI A TORONTO

di - 12 Luglio 2011

Molte polemiche ha suscitato dal 2003 Padre/father/baba/pate Pio, opera realizzata da Sisley Xhafa (Pec, 1970; vive a New York)  in occasione della mostra La Natura dell’Arte, una mostra itinerante curata da Achille Bonito Oliva, che si è svolta in diverse zone della Campania. L’opera dell’artista albanese è stata poi collocata a  San Lorenzello (BN), nei cui pressi si trovano anche altre opere site-specific di altri artisti di fama internazionale che hanno partecipato al progetto, come Enzo Cucchi, Michelangelo Pistoletto, Ettore Spalletti e John Armleder. L’opera, pur non essendo provocatoria, ha fatto parlare di sé, trattando un tema religioso e quindi molto delicato. Fulcro della polemica la somiglianza che il gigantesco volto di Padre Pio avrebbe con un extra-terrestre, e il luogo giudicato “inadatto” ad un’opera sacra. Quindi un atto blasfemo quello che alcuni hanno attribuito a Xhafa, il quale invece avrebbe dato semplicemente la sua interpretazione del Santo avendo sempre avuto “un rapporto diretto con la realtà, con rispetto e sensibilità verso la gente del posto… è la gente che rende il paesaggio vivente così bello”. Una grande responsabilità quella presa dall’artista albanese, che non ha mai voluto offendere la gente con cui condivideva la sua arte, ma anzi omaggiarla e renderla partecipe del suo lavoro. Una nuova icona, una nuova immagine quindi del Santo più famoso al mondo, che farà parlare di sé anche in America, dato che l’opera è volata in Canada e più precisamente a Toronto, al The Power Plant che dal 1987 ospita mostre di arte contemporanea di altissimo livello. Moltissimi gli artisti passati qui e che hanno esposto, fra cui Christian Boltanski, Louise Bourgeois, Tony Cragg, Nancy Spero e Anish Kapoor. Sisley Xhafa parteciperà quindi alla collettiva Rearview Mirror – New Art from Central and Eastern Europe, curata da Christopher Eamon focalizzata sulle opere provenienti da artisti della “nuova” generazione dell’Europa centrale ed orientale. Alcuni nomi? Pawel Althamer, Anetta Mona Chisa, Anna Molska, Deimantas Narkevicius Johnson&Johnson, tutti riuniti in un’unica grande mostra in cui il passato ed il futuro sono visti – come suggerisce il titolo – attraverso lo “specchietto retrovisore”.

Tutti artisti giovani, da cui Eamon vuole far emergere la visione di quegli anni così difficili per l’Europa Sovietica, attraverso i volti duri dei leader che questi giovani artisti vedevano al telegiornale – come Gorbaciov – e attraverso le notizie che essi apprendevano, una fra tutte quella della caduta del Muro di Berlino. Siamo nel 1989, anno che lo storico americano Fukuyama ha decretato come “fine della storia”. Ma questa “fine” come è stata considerata dagli artisti che erano adolescenti in quegli anni? Come hanno immagazzinato ed elaborato individualmente la loro “fine della storia” se di “fine” si può parlare? Il curatore risponde e presenta 22 artisti, ognuno con le proprie storie, il proprio paese di provenienza fra Estonia, Polonia, Romania e Slovacchia. Diversi i percorsi artistici e di vita, così come i mezzi utilizzati per esprimersi: video, istallazioni, performance, scultura e pittura. Una “lotta” contro l’uniformità di un singolo pensiero e una visione chepreveda una pluralità di forme e idee, in cui ognuno possa esprimersi liberamente. Ecco quindi che artisti più giovani e meno conosciuti affianco ad artisti di fama mondiale e con qualche anno in più di esperienza lasciano la loro impronta a seguito dei cambiamenti politici e geografici legati al passato, chi partendo dalla propria personale storia chi invece assorbendo da contesti differenti. E’ il caso di Sislej Xhafa che sceglie di esporre l’opera di Padre Pio, santo italiano, che ha però cambiato la vita a molte persone in tutto il mondo. La monumentale testa in cui lo spettatore può entrare grazie ad una porta posteriore inglobandosi nell’opera stessa rappresenta una vicinanza fisica oltre che spirituale. Parlando dell’opera l’artista ha più volte sottolineato come essa rappresenti “tutte le figure religiose che attraversano la cultura, la religione e le etnie…Padre Pio rappresenta un’aurea mistica che non solo trascende messaggi spirituali, ma anche  messaggi socio-politici-economici”. Non si può immaginare tale opera non pensando al contesto per cui era stata pensata: un enorme spazio all’aperto, a San Lorenzello e in seguito spostata al Parco Suardi di Bergamo in occasione dell’evento “Arte urbana”, progetto che ha visto l’integrazione di altre opere pubbliche di artisti come  Mimmo Paladino e Michelangelo Pistoletto.

La scelta di presentare a Toronto l’immagine del Santo di Pietralcina può sembrare singolare, ma rappresenta la volontà dell’artista di presentarsi senza un’identità specifica o meglio attraverso una “multi-identità”, un cittadino del mondo in tutti i sensi. Basti ricordare la Biennale di Venezia del 1997, a cui partecipò illegalmente per manifestare l’assenza di un padiglione albanese, presentandosi vestito da calciatore della nazionale albanese, radiocronaca di una partita di calcio e bandierina ed invitando la gente a partecipare. Un’azione ironica dietro la quale si cela il bisogno dell’artista di parlare di diritti umani, di dignità, di immigrazione e di problematiche relative all’identità e al suo passato in Kosovo, fra conflitti balcanici e guerre interne.

Insomma Sislej Xhafa nel suo “specchietto retrovisore” con il “suo” padre Pio vede anche un po’ l’Italia e di questo non possiamo che esserne orgogliosi.

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a cura di giulia fontani

[exibart]

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