Categorie: Personaggi

STREET ART ATTACK |

di - 14 Dicembre 2006

L’ereditiera più chiacchierata d’America, non contenta di sguazzare tra moda, pubblicità, tv, gossip e cinema, s’è recentemente improvvisata cantante. Paris Hilton, classe 1981, è ricca, bella, ambiziosa, svampita e candidamente priva di qualsiasi talento. L’ingresso nel mercato discografico viene consacrato lo scorso agosto dal danzereccio e inconsistente album Paris. Ma c’è qualcuno che ha pensato bene di rendere l’inutile prodotto musicale una vera chicca, scatenando l’attenzione dei media internazionali. E così cinquecento fan di Paris si sono trasformati in inconsapevoli collezionisti d’arte.
I fortunati vivono in Gran Bretagna ed è in uno dei megastore HMV e Virgin sparsi tra Bristol, Brighton, Bir mingham, Newcastle, Glasgow e Londra che hanno acquistato il disco della loro prediletta. I packaging dei cd, però, erano stati trafugati, contraffatti e poi rimessi al loro posto senza destar alcun sospetto. Cosa c’era dentro? Eloquenti fotomontaggi -Paris in posa da sexy singer con testa canina, o circondata da uno stuolo di homeless mentre scende dalla sua limousine -, collages di frasi sfottenti, slogan polemici, falsi titoli di canzoni del tipo Why Am I Famous? o What Am I For?, e i brani remixati da un misterioso “Dm”, forse Danger Mouse leader dei Gnarls Barkley.
L’autore del colpaccio? L’ormai mitico Banksy, street artist britannico, guerrigliero metropolitano armato di bombolette, fantasia irrequieta e incontenibile vis polemica. Lo scherzetto fatto alla Hilton è une delle sue ultime trovate, singolare caso di sabotaggio condotto contro uno show biz popolato di false icone.
Esperto manipolatore di strategie comunicative, il graffitaro più noto del momento ha dimostrato di muoversi con agilità all’interno di quel sistema mediatico ironicamente contestato con le sue stesse azioni. Lui, celebrità dei circuiti underground paladino dell’antinformazione, è ospite abituale di accreditate testate internazionali, dalla BBC all’Independent, dal New York Times al Guardian.

Uno strano cortocircuito insomma, ovvero la prova che la genialità è trasversale e garantisce una notorietà allargata.
Nessuno sa chi sia davvero Mr. Banksy. L’anonimato è certo una misura precauzionale. Ma è anche, soprattutto, un modo intelligente per costruirsi un personaggio e conferirgli la giusta allure. C’è chi dice che si chiami Robert Banks, chi afferma sia nato nel ’74 a Bristol, chi ha pubblicato una sua presunta foto, chi sostiene perfino che dietro lo pseudonimo si celi un gruppo. Solo ipotesi.
L’ultimo suo show si è svolto a Los Angeles, in settembre, dentro un magazzino abbandonato. La location è rimasta segreta fino al giorno dell’opening, mentre il clamore intorno al misterioso evento esplodeva su web e giornali. Inutile dire che si è trattato di una delle inaugurazioni più mondane e pubblicizzate dell’anno. Protagonista dell’evento era un elefante dipinto di rosa e oro, precipitato in una impeccabile scenografia d’interno borghese. Sparsi qua e là, tra mobili e suppellettili, i quadri e i graffiti di Banksy mischiavano gioco, scandalo e forti tematiche sociali. C’è un’espressione inglese, “the pink elephant in the room”, che sta ad indicare il classico problema macroscopico che si finge, paradossalmente, di non vedere. Ed ecco
la metafora inverarsi nell’animale in carne ed ossa, goffo e straniato dentro il lussuoso appartamento. Gli ospiti? Lunga la lista delle celebrities: la coppia d’oro di Hollywood Brad Pitt-Angelina Jolie, i musicisti White Stripes, Perry Farrell dei Porno For Pyros, Everlast, gli street artisti Seen e Obey, l’attrice Kathrine Narducci
Eppure, nonostante l’elevata notorietà raggiunta, Banksy resta uno che ama muoversi ai margini dell’art system. I suoi interventi hanno luogo per strada – graffiti, stencil e installazioni seminati sui muri dei palazzi, nelle piazze, nei parchi – oppure, furtivamente, all’interno di spazi consacrati all’arte e alla cultura.

Storiche restano le incursioni in quattro grandi musei newyorkesi – il MoMA, il Met, il Brooklyn Museum e l’American Museum of Natural History – datate marzo 2005. Qui l’artista, camuffato con impermeabile, barba posticcia e cappello, aveva piazzato le sue tele in mezzo alle opere della collezione, scansando la sorveglianza. I quadri clandestini si mimetizzavano col contesto, per temi e stile. A parte alcuni improbabili dettagli: una finta latta di zuppa warholiana, una dama d’altri tempi con maschera antigas sul viso, un nobiluomo del ‘700 con bomboletta spray in mano, un coleottero mutante travestito
da bombardiere. Tre i blitz museali in territorio londinese. Nel 2003 Banksy colloca in una sala della Tate Britain un paesaggio campestre a olio “impreziosito” dai sigilli bianchi e blu della polizia; l’anno dopo si infila al Natural History Museum e mette in vetrina, tra gli altri esemplari zoologici, un topolino imbalsamato bardato con zaino, occhiali da sole e microfono nella zampa; quindi, nel 2005, introduce al British Museum uno strano reperto archeologico, un pezzo di roccia su cui era inciso un omino stilizzato alle prese col carrello della spesa.
L’azione ludica e dissacratoria del bad boy mascherato svela un chiaro atteggiamento critico nei confronti dell’istituzione museale, simbolo del sistema socio-economico che vuole l’opera uno status symbol per pochi privilegiati danarosi. E allora
eccoli i guizzi vandalici di Banksy, le sue false tele che per pochi giorni si mischiano a quelle vere, innescando un buffo cortocircuito dentro i barricatissimi templi dell’arte ufficiale.
Innumerevoli, poi, le opere en plein air : segni in libertà con cui comporre un grande testo visivo, percorribile secondo traiettorie random attraverso pareti, angoli, soglie, fulcri, snodi del paesaggio urbano. Oltre ai graffiti, indimenticabili restano alcune sculture, come la leggendaria cabina telefonica britannica riprodotta da Banksy in una inedita versione collocata a Soho. Trafitta da un piccone, accasciata per terra e accartocciata, la rossa phone box perdeva sangue come creatura moribonda e sofferente. Una efficace metafora della globalizzazione che inghiotte culture e tradizioni locali, nonché una critica sottile a quel processo di privatizzazione dilagante che interessò, per mano della Iron Lady Tatcher, anche la British Telecom.
E ancora destò scalpore nel 2005 la massiccia statua bronzea installata -abusivamente- a Clerkenwell Green, Londra. L’opera, un ardito mix tra la Statua della Libertà e la Statua della Giustizia dell’Old Bailey, con tanto di libra e spada, aveva le fattezze di una volgare passeggiatrice seminuda: stivaloni di latex neri, giarrettiera reggi-dollari, slip in bella vista.

Come non sorridere di fronte all’oltraggioso monumento (dal titolo Trust no-one), dedicato ai corruttibili sistemi giudiziari delle grandi democrazie occidentali? Eppure qualcuno si arrabbiò e l’opera finì con l’essere vandalizzata. La bilancia dorata, sottratta poche ore dopo la cerimonia inaugurale, fu ritrovata a sorpresa nei locali del Fabric, dove si stava tenendo il party per la première del film I, Robot con Will Smith.
Ma è in Palestina che l’artista ha dato vita forse alla sua opera più incisiva. Sulla mastodontica muraglia che il governo israeliano ha issato intorno ai territori palestinesi occupati, Banksy ha realizzato un grande murales, un varco di colore su una delle più drammatiche barriere edificate all’alba XXI scolo. La sua denuncia ha i tratti leggeri, giocosi, candidi di un’arte che invoca il sogno contro la guerra. Su questo confine di cemento che “trasforma la Palestina nella più grande prigione a cielo aperto” – come dichiarato dallo stesso Banksy -, egli apre finti squarci con effetto tromp l’oeil, al di là dei quali s’affacciano cieli nitidi, distese verdeggianti e scorci d’oceano. Una bambina appesa a un bouquet di palloncini prova a spiccare il volo, altri bimbi giocano sorridenti attorno alle macerie del muro sbrecciato, mentre una scala bianca dipinta
pare suggerire una possibilità di fuga, di disobbedienza.
È recente la notizia del passaggio di Banksy nel magico mondo di Disneyland. Lo scintillante, plastificato regno della fantasia di massa è stato “disturbato” da un ospite silenzioso, un’inquietante statua notata dopo novanta minuti e subito rimossa.
Non si trattava di un supereroe né del protagonista di una favola, bensì di un detenuto della base di Guantanamo. Incappucciato, i polsi ammanettati e indosso una tuta arancione, questo fantasma dell’orrore, detournato nell’eden californiano per famiglie felici, portava con sé l’insopportabile eco delle menzogne, delle violenze, degli abusi perpetrati dai poteri di Stato.
A ben guardare, questo folle acrobata dell’arte dissidente assomiglia a un altro straordinario personaggio. Stessa abilità comunicativa, stesso spirito da eterno ragazzino, stessa voglia di mettere l’autorità a testa in giù, con ironia tagliente.
Che Banksy sia un po’ il Maurizio Cattelan della street culture? Certo, se il londinese fa successo ma non cede alle lusinghe dei circuiti ufficiali (gallerie, musei, fiere e biennali), l’italiano si è perfettamente inserito tra le maglie del sistema, raggiungendo quotazioni astronomiche e calcando le sfere dell’Olimpo dell’arte. Eppure, il mercato ha le sue leggi che l’etica non conosce. La fama del guerrilla artist cresce e, in proporzione, crescono i costi delle sue opere. Secondo Artnet Angelina Jolie avrebbe speso 216,000 dollari per un quadro di Banksy e 75,000 per una sua scultura, entrambi esposti durante il Barely Legal Show di Los Angeles. Possibile? Il dato pare un po’ gonfiato. Ma vuoi vedere che tra un paio d’anni ci ritroviamo l’irriverente art warrior conteso all’asta da Sotheby’s, come costosissimo ed esotico esemplare di una controcultura che fa tendenza nei salotti bene?

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www.banksy.co.uk

helga marsala

[exibart]

Visualizza commenti

  • si si
    infatti lo conoscevi così bene che neanche hai saputo scriverne il nome...

  • lotta contro il sistema? una telina 40x40 di questo tipo costa sui 13.000€, un 120x150 invece sui 85.000€... va bene "sparare sulla folla", ma per favore non sparate troppe cazzate

    ps. solo un idiota puó criticare uno solo perché sbaglia a scrivere un cognome straniero

  • L'amico è andato anche in Palestina e voi? Cercate di scrivere di meno....e muovetevi anche voi un pò di più.
    Magari solo per andare al Supermarket!?

  • Banksy è geniale - e soprattutto non ha niente a che vedere con Cattelan. Banksy entra nella nostra realtà, e dall'interno la scardina, la capovolge, le appiccica sopra qualcosa di leggero, impalpabile - ben lontano da una semplice e qualunquista "provocazione". Cattelan, al contrario, ha una comunicatività presuntuosa - prepotente - arrogante. Punti di vista, sia chiaro.

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