Pioniera della street art, Hyuro muore a Valencia: il ricordo di Alexandra Mazzanti

di - 26 Novembre 2020

Nel momento della scelta di un artista tra centinaia d’altri, l’affinità – intesa come quel sentimento molto simile a ciò che spinge gli individui a scegliersi reciprocamente, come in un’amicizia o un amore – gioca un ruolo cruciale. C’è però qualcosa di diverso nel rapporto tra una gallerista e un artista, una qualche mistica componente che si insinua specialmente nei casi in cui quest’ultima vada a eseguire una serie di opere in grado di parlare così profondamente all’anima della prima, da scavarvi all’interno e investigare intimamente il suo inconscio e il simbolismo a esso legato, al punto tale da metterlo a nudo su di una tela bianca. Ed è in queste particolari circostanze che l’artista riesce a mettere la sua gallerista in contatto con sentimenti che non sapeva riconoscere, insegnandole qualcosa di nuovo sul proprio sé e generando un’alchimia capace di stringere un legame destinato a durare per sempre. Ho conosciuto Tamara (Buenos Aires, 1974) nella primavera del 2016, mentre attraversavo uno dei periodi più duri della mia esistenza. Hyuro ha onorato me e la mia galleria (Dorothy Circus Gallery, Roma-Londra, n.d.r.) con un’incredibile mostra personale, che ebbe non solo il merito di rendermi orgogliosa ma, cosa ben più importante, il credito di darmi conforto quando più ne avevo bisogno. Ogni opera di Convivencia toccò direttamente le corde della mia anima. Ed è dal quel momento in poi che decisi di continuare a raccontare, attraverso la mia programmazione espositiva, storie di femminilità, maternità e perdita, grazie anche a ciò che Tamara mi aveva mostrato sulla perseveranza, la comprensione e la vitalità.

Hyuro mi ha insegnato a ballare come atto di resistenza (Baile como acto de resistencia), e che la vita non è che un “ciclo” in evoluzione e una continua metamorfosi avvolta nell’abito della nostra routine quotidiana”. Hyuro non era solo un’Artista di eccezionale talento. Era un essere umano caratterizzato da quella rarissima, quanto preziosa, capacità di ispirare naturalmente il prossimo a riscoprire la parte migliore di sé.

Attraverso un corpus coerente e meditato di opere come Vinculos, Pause e Contradicción tra le tante (mostra personale Convivencia, 2015), Hyuro si è contraddistinta non solo per l’ammirabile tecnica, ma anche e soprattutto per il suo essere un’Artista della Verità, forse mai totalmente compresa per lo straordinario coraggio di aver scoperchiato il Vaso di Pandora di una femminilità a volte cruda, ambivalente, inscenata per esempio in quella maternità non rosea, bensì faticosa e stancante, di Memories of a Maternity (mostra collettiva Mother & Child, 2019), una femminilità altrettanto, se non più autentica, legata a una sensibilità difficile con cui fare i conti.

Le contraddizioni dell’essere madre, la repressione femminile, l’autodeterminazione, la resilienza, non sono che alcuni dei temi toccati dalle opere di questa pittrice, un’artista in grado di incarnare perfettamente l’assunto secondo il quale “il personale è politico”, pur rifiutandolo, così come rifiutava tutto ciò che potesse strumentalizzare la sua arte e i suoi sentimenti.

Alcuni artisti sono per tutti, Hyuro no. La poesia di Tamara era per pochi, era per audaci, intellettuali, impavidi, era per tutti coloro che non temono di guardare la realtà in faccia così com’è, e che amano la vita per quello che è. Tamara non decorava, non si inseriva nei rassicuranti assiomi del “quadro da salotto”, non nascondeva se stessa dietro cromie rassicuranti e patinate: dipingeva specchi in cui ciascuna donna potesse ritrarsi e sentire che andava tutto bene, che andava bene non inserirsi necessariamente nel diktat vizioso di una società malsana. E lo faceva nella magistrale rappresentazione della donna che balla come atto di resistenza, la donna e la madre che ha bisogno di una pausa perché sfiancata dalle fatiche, la donna che non vive per piacere, declinando la propria vita così come ritiene più opportuno.

L’autenticità di Hyuro ha selezionato il suo pubblico, e le ha riconosciuto l’imperituro rispetto di tutti coloro che sono venuti a contatto con la sua arte, che avrà sempre un posto speciale nel mio cuore, ora riempito dal dolore per lei, per i suoi bambini e per la sua famiglia.

Ci lascia Tamara Djurovic con i suoi bellissimi e intensi lavori, uno dei quali dipinto durante la sua prima mostra sulle mura della mia Roma, in un lascito che è nostro dovere non dimenticare, al fine di preservare proprio quelle stesse pagine di verità di un libro che ancora avrebbe avuto molto da raccontare, di parole da leggere, di storie da vivere: il diario di un’artista il cui eco dell’eredità intellettuale riecheggerà per sempre per le strade dell’umanità.

Ed è proprio questa eredità di una tra le più sensibili e formidabili tra le donne, che si tramuta ora in quella camicia da lei stessa indossata e lasciata appesa per noi che rimaniamo, mentre la sua anima vola in alto e si mescola nel cielo sopra di noi.

La street art intensa di Tamara Djurovic, in arte Hyuro: la fotogallery

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