ALLA RICERCA DELLE GALLERIE DI RICERCA |

di - 4 Febbraio 2010
Massimo De Carlo è diventato nonno. Dopo aver favorito la
nascita della Galleria Zero… del suo ex assistente Paolo Zani, è toccato a
quest’ultimo vedere la sua assistente Jennifer Chert aprire l’omonima galleria
a Berlino, circa un anno fa. Per sangue o per diretta investitura sono diversi
i casi di “nepotismo” tra le gallerie (tra i recenti: Francesca Minini, Black
Box, Klerkx, Fabio Tiboni, Mario Mazzoli, Isabella Bortolozzi), ai quali si
aggiungono nuovi giovani rampanti. Fatto è che, crisi o non crisi, si è
continuato ad aprire nuovi spazi.
Non è escluso che proprio la congiuntura economica
negativa finisca per accelerare un fisiologico processo di turnover nello
scenario delle gallerie, che in Italia potrebbe portare a un riassetto degli
equilibri del sistema, fino a oggi sostanzialmente fondati su un’oligarchia che
ha nell’asse Milano-Torino-Brescia il suo centro direzionale (De Carlo,
Guenzani, Kaufmann, Giò Marconi, Noero, Minini), con qualche rara deviazione
(Artiaco, Continua…).
C’è stato un tempo, neanche troppo distante, in cui una
buona parte di loro si spartiva il posto nelle commissioni selezionatrici delle
principali fiere internazionali, e i loro artisti erano gli unici a poter ambire
alle mostre e alle biennali più importanti. Il quadro geopolitico era
facilmente ricostruibile e impermeabile.

Oggi la situazione sembra essersi fatta più fluida.
L’impressione è che la vera ricerca si stia facendo intorno agli spazi, alle
strutture, all’organizzazione di questi: un laboratorio dei contenitori più che
dei contenuti. L’arte invero sembra ferma al palo, vittima di
quell’individualismo sul quale sono state costruite le moderne star. Critici e
curatori sono sempre meno coinvolti nelle programmazioni delle gallerie,
cosicché il confronto e il dibattito intellettuale sono totalmente assenti,
sostituiti dal soliloquio.
Tra le gallerie giovani, la romana Monitor, che inserisce
in calendario una collettiva all’anno, è quasi un’eccezione. In sette anni di
attività, T293 ha fatto appena quattro group show. Negli ultimi tre anni ne
hanno fatte due Zero… e Sonia Rosso, una Francesca Minini. Sono esempi di un
preciso trend che privilegia i progetti personali, pone sotto i riflettori (del
mercato innanzitutto) l’artista e il suo curriculum prima dell’opera. Scendendo
nel dettaglio, poi, si può facilmente verificare come i progetti collettivi
siano quasi totalmente banditi o, al massimo, usati come riempitivi. Non è così
all’estero, nelle gallerie europee o in quelle americane, dove se non altro
sono garantiti i summer show, le collettive estive che servono proprio come
palestra per giovani critici e per valutare nuovi nomi da ingaggiare.
Due interessanti progetti curatoriali sono stati di
recente Viva l’Italia di Fabio Cavallucci e It rests by changing di Simone Menegoi, realizzati
rispettivamente da Astuni e Raffaella Cortese, due gallerie di ormai lungo
corso, non certamente annoverabili fra le giovani.

Giovani gallerie ma anche quelle d’avanguardia, primarie,
di scoperta o di ricerca: in verità tutte queste definizioni, invalse per
identificare una precisa categoria fra gli operatori di mercato, sarebbero
facilmente smentibili alla luce dei fatti. Perché la millantata gioventù vale
per sempre e per tutti, perché l’idea d’avanguardia è finita da un pezzo,
perché la separazione tra mercato primario e secondario è sempre più sottile e
non esistono artisti di spicco che non siano assoggettati in modo più o meno
occulto a qualche potente galleria straniera. Perché, infine, le idee di
scoperta e di ricerca stridono con una forte tendenza all’omologazione
culturale e alla standardizzazione estetica contemporanee, e la creatività si
applica innanzitutto nel campo delle strategie di mercato e di fidelizzazione dei
collezionisti.
Il posizionamento di una galleria passa innanzitutto
attraverso la flessibilità e la capacità di adattamento, soprattutto
all’altalenante andamento dell’economia. Un esempio interessante di adattamento
camaleontico è fornito proprio dal nuovo spazio bolognese del già citato
Astuni, equivalente a un vero cambio di pelle: da galleria di mercato impegnata
con artisti storici o commerciali è oggi pienamente calata nella nuova
avventura concettuale, inaugurata con la collettiva Sci.Art curata da Alessandra Pace con
artisti come Csörgö, Pippin,
Putrih,
proseguita con la personale di Luca Pozzi e infine con il progetto di Cavallucci che gli ha
spalancato le porte di Artissima.
Un altro esempio di trasformismo è dato dalla milanese
Fluxia, progetto che non nasconde la derivazione dalla galleria di Giovanni
Bonelli ma che si affida alla direzione di un artista tra i pochi realmente
impegnati nella riflessione intellettuale nel nostro paese, ovvero Luca
Francesconi
.
Fluxia sembra indirizzata così a diventare l’output commerciale, non tanto per
le vendite, ma per la diffusione delle idee del vivace laboratorio non profit
Brown, fondato e curato dallo stesso Francesconi con la collaborazione di altri
artisti.

Flessibilità sta anche per sovvertimento delle
consuetudini, come quella di perseguire a tutti i costi l’esclusiva sui giovani
artisti che, al contrario, proprio nella fase iniziale della loro carriera,
possono trarre molto vantaggio dall’esporre in contesti e situazioni diverse.
Su quest’idea lavora la galleria milanese di Federico Luger, che non si sottrae
e anzi ricerca la collaborazione strategica e l’alleanza con i colleghi come
Torri e Geminian, Paolo Maria Deanesi, SpazioA ed altri, con i quali condivide
intenti sinergici.
Ma anche nei rapporti con il collezionismo non manca la
sperimentazione di nuove formule, come si evince dalle dichiarazioni fatte da
Paola Guadagnino e Marco Altavilla (T293) sul contestatissimo libretto di
interviste di Andrea Bellini ai galleristi, uscito in occasione dell’ultima
edizione di Artissima. Si studiano infatti strumenti per coinvolgere giovani
collezionisti direttamente nella produzione e realizzazione di progetti di
artisti emergenti, quasi abbozzando una società per azioni di fatto, in cui i
soci concorrono alla gestione degli investimenti e dei profitti, finendo per
svolgere un ruolo di committenza.


articoli correlati

Viva
l’Italia a Bologna

La
collettiva di Menegoi a Milano

Sci.Art
per Astuni

alfredo sigolo


*articolo pubblicato su
Exibart.onpaper n. 62. Te l’eri perso? Abbonati!

[exibart]

Visualizza commenti

  • Mi sembra ci siano bagliori interessanti, anche perchè gioco-forza. La situazione è ,per certi versi, insostenibile. Anche se credo che il punto sia il linguaggio e il ruolo degli artisti. Questi ultimi dovrebbero uscire da definizioni accessorio e percorsi da "professionismo italico". A questo proposito la nuova frontiera sono le residenze all'estero che tendono a ingessare e rassicurare. Domani cosa ci saranno le residenze su marte...e poi. Forse sarebbe meglio sprofondare piuttosto che l'ennesima residenza (su cui si avventano centinaia e centinai a di artisti nel mondo).

  • aggiungo che i curriculum viate (precipitato di luoghi e relazioni) tendano a diventare "materia" delle opere. Questo non è bello. O per lo meno bisognerebbe farlo consapevolmente (ben venga quindi la reazione di Zero nel togliere le opere dai nomi degli artisti e sostituirle con il solo curriculum). Questa dinamica è data dalla crisi, certo, ma anche da un affatciamento del linguaggio. Che deve fare i conti con il 900 e una storia dell'arte che ci tengono tutti in ostaggio.

  • Complimenti Alfredo, l'articolo è scritto bene ed è molto interessante!
    Spero di leggerti sempre più spesso.

  • Complimenti x quanto scrive.
    Sto aprendo 1 nuovo spazio arte a Mi.
    Amy .d Arte spazio di Via Lovanio 6 (Moscova ) Milano
    L'inaugurazione del 25 febbraio parte con la 1 mostra "TITOLI arte tra mercato e finanza". E' 1 collettiva di 5 artisti a cui ho assegnato 5 progetti (bidoni finanziari e/o titoli spazzatura)da
    elaborare.
    Mi piacerebbe....molto poterLa conoscere e/o incontrare.
    Dal 22 febbraio in poi saremo su Exibart.

    Grazie
    Amy d

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