Galleristi via vai

di - 9 Ottobre 2013

Tante gallerie con storie diverse. Se si volesse fare un sondaggio di cosa sta succedendo oggi nel mondo degli spazi del commercio dell’arte, le numerose chiusure, insieme alle soste e alle deviazioni forzate, farebbero di sicuro da padrone. È anche vero, però, che nel mare delle ritirate o dei “sabbatici” presi come pausa di riflessione (vedi Suzy Shammah a Milano), esistono delle controtendenze: traslochi per amor di “cultura”, e non solo per necessità di ridimensionare i costi di affitto, trasferimenti in realtà più piccole per avere una maggiore diffusione sul territorio o, invece, espansioni in nuovi spazi.

Abbiamo raccolto le dichiarazioni di alcuni di questi “attori” in movimento, ascoltando che cosa non funzionava prima e che cosa funziona adesso, quali sono le aspettative future e i rimproveri da fare alla propria città.

Oredaria sta chiudendo i battenti della sua galleria romana, convertendo i progetti verso altri contesti. «Ho deciso, dopo dieci anni esatti di lavoro in galleria, di “uscire dalle mura” dello spazio espositivo di Roma, cercando di realizzare progetti sul territorio, in collaborazione con imprese, spazi pubblici e privati, che diano una visibilità diversa agli artisti coinvolti. Piccole sperimentazioni in questa direzione sono stati gli allestimenti all’artista scozzese Aeneas Wilder all’ALMA Graduate School di Bologna, che sono stati al centro di un corso e di un convegno sui temi della precarietà. Un’altra occasione è stata la produzione di una installazione laser di Arthur Duff presso Palazzo Malipiero-Barnabò in occasione dell’inaugurazione della 55esima Biennale di Biennale di Venezia», spiega Marina Covi Celli, titolare di Oredaria.

I motivi di un trasloco non arrivano sempre e solo a causa dell’affitto – nel caso di Oredaria, anzi, non sono affatto questi, essendo lo spazio di proprietà della gallerista –  ma anche da una crisi, molto più generale, in cui l’intero sistema culturale e artistico si trova da tempo.

«Credo che la crisi in cui versa il nostro Paese e che penalizza pesantemente il nostro settore, e la produzione culturale più in generale, debba costringerci ad una riflessione sulle prospettive di ciascuno di noi. Da parte mia, da tempo avverto una disattenzione sempre più forte degli addetti ai lavori verso l’attività espressa dalle gallerie private. Talvolta il racconto di quanto viene vissuto nei singoli spazi espositivi è delegato alle fiere di settore, dove curatori, direttori di musei, giornalisti e critici “si fanno un’idea” di quanto avviene nelle gallerie private. È come se questa dimensione avesse perso, nel tempo, la propria centralità propositiva, la propria funzione di presentazione di giovani talenti o il cammino di artisti già affermati. Credo che sia anche questo, oltre alla indiscussa crisi di mercato, a spingere molti colleghi a formule coraggiose di ampliamento, o a forme di sinergia con galleria operanti all’estero», conclude Covi Celli.

E questo è spesso il motivo per cui altre realtà stanno abbandonando la capitale in cerca di terreni più fertili e culturalmente più allettanti. Parliamo di CO2, che da Roma si sta muovendo in direzione di Torino. «Roma è favolosa, ma è una città distratta da decine di iniziative, spesso mediocri. Per questo anche un lavoro ben fatto rischia di passare in secondo piano. Solitamente, nelle altre nazioni, la capitale ha un’offerta culturale superiore e più mirata rispetto alle città di provincia. In Italia questo principio è stravolto, e probabilmente nel nostro caso vale la pena prendere in considerazione realtà più dinamiche e meno distratte. Torino è invece ancora la città con il primato culturale in Italia. Che rivolge da anni una particolare attenzione al contemporaneo, vedi Artissima, ormai la migliore fiera italiana, il Castello di Rivoli, la Fondazione Sandretto Rebaudengo, la Fondazione Merz, la GAM. Tutte quante, con o senza fondi, riescono a lavorare sulla qualità. Il nostro obiettivo iniziale era di confrontarci con una città estera e Torino è la città più estera che esiste nella nostra nazione», afferma Giorgio Galotti, fondatore di CO2. Mentre un altro “romano”, ma d’adozione, Nicola Furini, sta meditando un trasloco. Non però alla volta della città sabauda, ma verso quella natia: Arezzo, dove anni fa aveva aperto la prima galleria. 

Chi invece, a Roma, si trova tanto bene da espandersi è Frutta, che dopo neanche un paio d’anni di attività nella capitale, ha deciso di investire in nuovi spazi alle porte del Colosseo e che, a una domanda sulle recenti oscillazioni delle gallerie, risponde così: «Non crediamo che ci sia mai stato un periodo facile per le giovani gallerie. In particolar modo con gli artisti emergenti è sempre stata una lotta e ora, sotto i riflettori della crisi, le persone si sentono semplicemente più a loro agio nel riconoscerlo e ammetterlo. In ogni modo crediamo che questa crisi sia un po’ una scusa. C’è sempre spazio e un mercato per la qualità. Le gallerie hanno sempre inaugurato e chiuso, o allargato  e diminuito i propri spazi. Non credo che questi movimenti siano solo causati dalla crisi e dai suoi effetti sul mercato. Nel nostro caso, lo spostamento della galleria è diventato essenziale per dare più spazio agli artisti e per essere in grado di impegnarsi in progetti più grandi. Roma si è rivelata una città sempre stata curiosa di conoscere il programma della galleria! Da un punto di vista di mercato, ha molti collezionisti meravigliosi che sostengono la galleria e gli artisti. È uno dei luoghi più affascinanti del mondo e ha ancora un elevato potenziale per diventare una città importante per l’arte contemporanea», afferma Meike Felgner dello staff di Frutta.

Ma la capitale non è stata gentile solo con Frutta. Si pensi a Lorcan O’Neill e alla sua recente “pre-inaugurazione” di un terzo spazio romano affidato a Martin Creed, ma per cui bisognerà attendere gennaio prossimo per vederlo funzionante a tutti gli effetti: «Ci sono parecchi lavori da fare per avere lo spazio che desideriamo veramente», spiega Laura Chiari, direttrice della galleria. E pensiamo soprattutto a Giacomo Guidi che, dopo essersi stabilizzato definitivamente nel circolo romano nel bello spazio di Corso Vittorio, è in procinto di traslocare di nuovo per una galleria ancora più grande a Trastevere. E non basta perché Guidi, da Roma, rilancia su Milano, inaugurando la stagione con una sede milanese in via Stoppani diretta da Renata Fabbri, che apre domani, 10 ottobre, con una mostra dell’israeliano Nahum Tevet.

Insomma, il panorama sembra vario e in movimento. Ognuno si ingegna cercando di compiere il proprio percorso con la volontà di continuare a realizzare progetti di qualità, anche fuori dalla galleria. E certo, per fare questo, è necessario ripensarsi e reinventarsi.

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