LE INQUIETE MACCHINE FUTURISTE |

di - 28 Gennaio 2010
L’attivismo globale del Futurismo ha cercato continuamente
il superamento dei valori puramente formalistici dell’opera d’arte, per
lanciarsi violentemente nella vita.
Il nodo arte/vita futurista è stato essenziale per e nella
ideazione del movimento. Il Futurismo ha cercato di farsi tutt’uno con la vita,
riversando tutta la creatività proprio dentro la dimensione sociale, mai
staccandosi da essa, anche e soprattutto nel momento della sua reinvenzione
totale.
Nell’incessante rinnovamento futurista vi è una costante
tematica espressa durante tutto il cammino del movimento e si trova nel “mito
della macchina”. Dal Manifesto di fondazione all’ultimo periodo ideativo, il Futurismo –
prima con l’automobile e in seguito con l’aereo – si è identificato nella
macchina. Questa fu intesa, proprio come lo stesso movimento, quale forza
innovatrice e rivoluzionaria, capace di rompere e trasformare completamente
l’intera realtà.
L’immaginario “macchinista” dei primi decenni del
Novecento viene affermato, dai futuristi, come celebrazione della macchina, nel
suo essere rivoluzionante e avveniristico. In una parola, futuristico. Il
“mito” creato dal Futurismo si configura entro la contemporaneità,
influenzandola ideologicamente, nella velocità, nel dinamismo, nella
simultaneità.
Tra i futuristi, sicuramente Pannaggi è l’autore più fedele all’idea
meccanica di arte: in dialettica col Costruttivismo mitteleuropeo, esprime il
dinamismo futurista in analogia astratta meccanica, legandosi saldamente alle
forme plastiche della macchina. Mentre Prampolini declina il suo macchinismo, nel
corso della sua ricerca, con un accento sempre più immaginativo, quasi
misticheggiante; al pari di Fillia che, partito dalla “geometria costruttivista”, approderà
anch’egli a una sorta di “macchinismo spirituale”, passando prima per un forte
psicologismo meccanico.
Paladini fu fondamentale, insieme a Pannaggi,
nell’elaborazione dell’arte meccanica futurista, inaugurata brillantemente con
il Manifesto dell’arte meccanica futurista del 1922. Poco più tardi, lo scritto
sarà riveduto da Prampolini e uscirà nella versione definitiva con le firme di
Pannaggi, Paladini
e, appunto, Prampolini.
Paladini e Pannaggi manifesteranno chiaramente l’intento
programmatico di una nuova (est)etica legata alla macchina: “Impellente il
bisogno […] di attingere nuovi spunti di rivolta, da ciò che è la nostra
vita. Dalle macchine. […] Oggi è la macchina che distingue la nostra epoca.
[…] Senso meccanico netto deciso che è l’atmosfera della nostra sensibilità.
[…] Sentiamo meccanicamente e ci sentiamo costruiti in acciaio, anche noi
macchine, noi meccanizzati dall’atmosfera. […] Ed è questa la nuova
necessità, ed è il principio della nuova estetica
” [1].
Tutto il discorso di Pannaggi e Paladini sulla macchina si
identifica nel connubio macchina/proletariato come elemento di rottura
rivoluzionaria. Ciò è riscontrabile immediatamente nelle illustrazioni che
campeggiano nel manifesto: Proletario e Composizione Meccanica.
I due giovani futuristi realizzano la nuova estetica
meccanica cercando di coglierne la profonda dialettica sociale che questa
sottende: da una parte lo sfruttamento capitalistico, ma dall’altra, in
antitesi, la possibilità rivoluzionaria della macchina/proletaria liberata. La
loro azione militante, artistica e politica, è tutta tesa a promuovere questa
liberazione.
Con questo proposito, pochi mesi prima Paladini aveva
scritto il documento politico artistico La rivolta intellettuale, che chiarisce
la posizione dei “kom-fut” [2] italiani: Amiamo i volani tranquilli e le
locomotive con tutta la nostra sconfinata passione, come le amerà il
proletariato quando non saranno più proprietà dei capitalisti e strumenti di
sfruttamento, ma macchine meravigliose che lavoreranno per il benessere
materiale dell’umanità nuova. E distruggiamo tutto, distruggiamo tutto ciò che
è borghese con tutto il nostro meraviglioso odio
” [3].
Analoga è l’ispirazione politico-estetica nel progetto
macchinistico di Léger: l’utopia del lavoro liberato, la perfetta integrazione
uomo-macchina. Così sarà anche l’operaio “ruota dentata” dell’opera Proletario
della Terza Internazionale
di Paladini.
A cent’anni dalla nascita del movimento, se la “rivolta” e
l’”arte meccanica” sono parti del motore arte/macchina/sovversione, si può
azzardare a pensare che siano il Futurismo della macchina e, prima ancora, la
macchina del Futurismo? O forse le inquietudini rivoluzionarie di un
futur(ism)o incompiuto? O ancora, più opportunamente, considerando i tempi, è
bene vederle come il passato remoto di questa modernità?

[1] Cit. in E. Crispolti, Il mito della macchina e
altri temi del futurismo
, Celebes, Trapani 1969.
[2] Cit. in G. Lista, Arte e politica. Il futurismo di
sinistra in Italia
,
Multhipla, Milano 1980.
[3] Kom-fut sta per “comunisti-futuristi” ed è la
definizione che si diede una parte dei futuristi russi.

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Ada
Masoero – Milano l’elettrizzante
Maurizio
Scudiero – Il Futurismo che ci aspetta
Bruno
Di Marino – I futuristi: contro la fotografia?
Giovanni
Lista – Un centenario precoce
Giacinto
Di Pietrantonio – Cose viste e mai viste

max macchia


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n.
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