Liberato, che fa il video e si nasconde

di - 20 Settembre 2017
Chi è Liberato? In molti se lo chiedono, la risposta sembra essere ancora lontana. Per adesso sappiamo che Liberato è l’autore dei brani musicali, Nove maggio, che ha ricevuto più di 1.300.000 visualizzazioni, e Tu t’e scurdat’ e me, più di 2milioni. Numeri piuttosto consistenti per aver lanciato ufficialmente solo due pezzi, entrambi per lo più in lingua napoletana, mentre un terzo brano, Liberato I, è stato pubblicato da un altro account di Youtube, e ora è online Gaiola Portafortuna, terzo pezzo dedicato alla piccola isola di fronte a Posillipo. Possiamo immaginare facilmente che sia nato a Napoli ma per molti, dopo la sua partecipazione al MI AMI Festival a Milano, il suo nome è legato a Calcutta, Izi, Priestess e Shablo. Sulla questione, abbiamo sentito Giuseppe Aiello, micropaleontologo, insegnante di Taijiquan, che si interessa di storia dei movimenti libertari ed è autore di saggi e articoli di musica, come “Non siamo noi che siamo razzisti, sono loro che sono neomelodici”, del 2013. E se pensando a Liberato vi viene in mente il termine “neomelodico”, sappiate che fu coniato da Aiello, ne “La comprensibile esistenza di una musica inaccettabile”, testo del 1997, come «Una parola messa lì per colmare un vuoto terminologico ma senza grandi pretese». (MFS)
Liberato, Tu t’è scurdat’e me
L’opificio della truffa, obsoleta arte del vendere il nulla
Sublime ossessione della Truffa, tipo quella che Malcolm McLaren tentò prima con i New York Dolls, che però già fluttuavano oltremisura in una deriva oppiacea e poi colse quando incontrò l’angelico Lydon-Rotten nel suo negozio di lingerie alternativa a dimostrare che nella vita non bastano le buone idee ma ci vuole soprattutto molto culo. In realtà, prescindendo dalla megalomania dell’autonominatosi creatore dei Sex Pistols, quello del punk fu un imbroglio da due sterline, roba un po’ fatta in casa se la si paragona a mercanzie stile Monkees, un gruppo in cui nessuno dei componenti aveva la minima idea di come si suonasse alcunché, però erano americani e carini e l’industria discografica statunitense aveva bisogno di qualcosa da contrapporre ai quattro cafoni di Liverpool. Milioni di dischi vendettero, ai tempi belli del vinile a caro prezzo. Eppure è sempre meglio un pugno di dollari rispetto al vuoto pneumatico, soprattutto in tempi di carestia, in particolare se si riesce ad avere una discreta intuizione o almeno una robusta vena da riciclatori.
Se sei giapponese e puoi investire camionette di yen in fanciulline al titanio crei le Babymetal (jpop + kawaii-death metal) e tiri su dal niente un’industria tipo Carreras/Domingo/Pavarotti. Se invece hai avuto la sorte di nascere all’ombra del Vesuvio e non del Fuji, ti accontenti di ramazzare qualche migliaio di euri e fai due video mischiando hip hop beneducato, una velatura omeopatica di canzone napoletana classica e quello che secondo te è una sorta di intelaiatura neomelodica. Scrivo “tre video” e non “tre canzoni” perché i brani pubblicati a nome Liberato non avrebbero alcun senso senza una componente visuale orientata verso una miscela di estetiche che cercano di schierarsi contemporaneamente secondo prospettive incompatibili. Si possono osservare ad esempio le sottili asperità indotte dall’incontro tra i due adolescenti, con lei che conduce un gioco in cui la-canna-no-ma-la-trombatina-certochessì e riconfigura i parametri narrativi nei 4 secondi netti nei quali compare sullo sfondo un’ampia scaffalatura minacciosamente ricolma di libri, a pochi metri dal talamo scopatorio, impensabile in un contesto neomelodico. Ristabiliamo le distanze di classe, per cortesia.
Liberato, 9 maggio
Senza i contatti giusti l’operazione non avrebbe alcuna possibilità né senso, e infatti gli autori e produttori, ben inseriti nel piccolo mondo della musica indiepop (giro Snowdonia – Audioglobe – Zen Circus – Sangue Mostro) e della cinematografia eclettica (Colibrì film, dai documentari impegnati alle prime comunioni), provano a creare un’immagine misteriosa con una pietosa intervista su Rolling Stone (che indurrebbe al maligno e infondato sospetto riguardo un eventuale rapporto di stretta parentela o di contratto sessuale tra qualcuno della Liberato crew e i ripartitori spazi di RS) al presunto rapper misterioso, trattato come se fosse uno dei Daft Punk o dei Residents. Il risultato complessivo è sconfortante. Le immagini sono curate, si tenta una narrazione non troppo scontata, la musica – opera di un socio storico del regista o di un suo clone figlio di una ranxerox 3D – molto dignitosa, ma la voce è di una piattezza degna del Salar de Uyuni, mentre i testi cercano di richiamare qualche assonanza neomelodica fallendo clamorosamente nella mancanza di ciò che rende indistruttibile la musica popolare napoletana – l’energia resistenziale dei lazzari. Ma soprattutto: tre pezzi? E chest’è? Over facimm’? Mauro Nardi avrà fatto trenta dischi e voi non avete mai ascoltato una sua canzone per intero e adesso dovremmo interessarci del perché uno che nella vita si è messo il nome di una città asiatica per fare l’imitazione di Luca Carboni finisca a cantare 9 maggio dal palco di un festival alternativo? O le citazioni posticce di tammurriate e Nino D’Angelo dovrebbero indurci a considerare l’eventualità che un nuovo Bitches Brew sia in gestazione?
La dura realtà è che visto che dischi da smerciare ne sono rimasti ben pochi, le minime truffe del rock’n’roll non vendono più sogni, non vendono più illusioni, non hanno nicchia residua da occupare e ci si accontenta di accantonare un po’ di contatore youtube facendo finta che le cliccate equivalgano a quei 45 giri che ci precipitavamo a comprare le rare volte che riuscivamo a mettere insieme 500 lire. Poi ci pagheranno, forse, magari, ai concerti o in televisione, in buoni pasto, voucher postdatati, polveri assortite – che ne so. Sgratto del barile, missione fallita: per comprendere se due musiche ipervitali come rap e neomelodica hanno un futuro comune ci si rivolga altrove (Granatino? Desideri?) non certo verso serici pezzotti professionalmente inattaccabili e abilmente confezionati, ma senza anima alcuna capace di contaminarli.
Giuseppe Aiello

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