Alberto Giacometti, “artistar” del 2018

di - 15 Settembre 2018
È veramente raro che in un anno, o poco più, lo stesso artista sia il protagonista di tante iniziative in mezzo mondo. Alberto Giacometti (1901–1966) con il suo stile di lavoro e di vita cosi sobrio e ascetico è sorprendentemente uno di questi. Non vorremmo pensare che alla base di questo interesse ci sia la circostanza, evidenziata spesso negli articoli a lui dedicati, che le sue sculture abbiano le quotazioni di mercato più elevate, ma di certo è un dato di fatto: L’Homme au doigt bronzo del 1947 è la scultura fino ad oggi più pagata al mondo con 141,3 milioni di dollari (da Christie’s a New York) nel 2015 e la seconda in classifica è L’Homme qui marche del 1961 venduta a 104,3 milioni di dollari (da Sotheby’s Londra nel 2010).
Dunque: nell’estate 2017 al Museo di arte moderna di Parigi la mostra “Derain, Balthus, Giacometti Une amitié artistique” evidenziava la forte interazione nella sua formazione con i due esponenti piuttosto anomali delle avanguardie novecentesche.
Quest’anno in febbraio è uscito il bel film di Stanley Tucci, Final Portrait. L’arte di essere amici interpretato da Geoffrey Rush, che racconta il profondo rapporto fra lo scrittore americano appassionato d’arte James Lord e l’amico Giacometti e le difficoltà del processo artistico.
In estate, ancora a Parigi, riappare più volte la figura dell’artista svizzero. Mentre alla Fondation Vuitton nella mostra “Au diapason du monde”, che esponeva una parte della collezione del fondatore Bernard Arnault, si poteva visitare una sala a lui dedicata con due disegni e sette bronzi (dal 1947 al 1965) e a giugno, con la mostra “L’atelier d’Alberto Giacometti vu par Jean Genet”, si inaugurava la sede della Fondation Giacometti che tra l’altro presenta la ricomposizione fedele del suo studio minimale di ventitré metri quadri.
Bacon Giacometti, vista della mostra alla Fondation Beyeler
In Svizzera, sua patria natale, la Fondation Beyeler quest’estate gli ha dedicato una mostra. Dirompente nella scelta di accostare lo scultore ad un mostro sacro della pittura contemporanea quale Francis Bacon. L’esposizione “Bacon-Giacometti” frutto della collaborazione fra la Fondation Beyeler, la Fondation Giacometti di Parigi e curata da Catherine Grenier, Michael Peppiatt e Ulf Küster presenta un centinaio fra pitture e sculture provenienti da musei e collezioni private internazionali. L’emozione suscitata dalla visita è di rara intensità. Lo spaesamento per l’evidente diversità dei mezzi usati, scultura e pittura quindi volumi e superfici, dei colori, i grigi opachi dei metalli e dei gessi e i colori vividi e squillanti delle tele, lentamente si dissolve e si viene attratti da una ragnatela di rimandi. Il silenzio che circonda le figure in movimento e i busti grandi e piccoli di Giacometti e il nulla nel quale ammutoliscono gli urli dei fantasmi di Bacon. Le torsioni dei lottatori o del ciclista e l’incedere delle figure verso il nulla vengono fermati per sempre dall’impotenza del dolore; i reiterati ritratti e busti della comune modella/amica/amata Isabel Rawsthorne hanno modi diversi che tuttavia la rendono sempre magicamente riconoscibile. Per completare il percorso di affiancamento vengono proiettati su tre superfici i video delle suggestive ricostruzioni a grandezza naturale dei rispettivi iconici studi a Parigi al 46 di rue Hippolyte Maindron e a Londra al numero 7 di Reece Mews, entrambi piccolissimi, addensati di frammenti, disegni, opere, sculture, strumenti e colori.
Bacon Giacometti, vista della mostra alla Fondation Beyeler
Turbati si lascia la mostra con il ricordo dello struggente In memory of George Dyer del 1971, omaggio di Bacon per la morte del compagno e della commovente Grande tete mince del 1954 che ritraendo il fratello Diego Giacometti (formidabile suo aiutante e per noi prezioso salvatore di molte opere dal suo furore rielaborativo) ritrae anche se stesso.
Oltreoceano a giugno si è aperta al Guggenheim di New York la mostra dal titolo lapidario “Giacometti” (curata da Megan Fontanella del Guggenheim e Catherine Grenier, direttore della Fondation Giacometti di Parigi) vasta retrospettiva che affronta l’intero percorso dell’artista, con oltre 175 sculture, dipinti e disegni, taluni per la prima volta negli Stati Uniti, oltre a documenti e immagini d’archivio. Mentre la mostra di Basilea dispiega le opere nei grandi luminosi ambienti dell’architettura museale neutra di Renzo Piano per esaltare la spazialità di Bacon e ridurre la tridimensionalità di Giacometti, l’allestimento americano punta sul movimento continuo del percorso Wrightiano ed esalta il gioco di luci e ombre offerto dalla sua articolazione spaziale.
L’elenco, a meno di colpevole disattenzione, per quest’anno si concluderà con la mostra “Je suis l’autre. Giacometti, Picasso e gli altri”, a cura di Paolo Campione e Maria Grazia Messina, sulla comparsa del Primitivismo in Europa prevista per la fine di settembre a Roma nelle Grandi Aule delle Terme. Ma chissà, l’anno di un artistar non è mai finito…
Giancarlo Ferulano

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