Alighiero, tra arazzi e tappeti volanti

di - 13 Aprile 2018
“Un giorno ho regalato a Matteo una busta di animali di plastica. Ho pensato io di fare una piccola prateria nello studio di Alighiero. Con una vecchia porta e sei mattoni. Il tappeto piccolo nell’angolo è per sedersi a guardare. Lo chiamiamo il tappeto volante perché sembra di essere in alto, e loro sono piccoli piccoli sotto”.
Questo piccolo brano, riportato nel bel catalogo che accompagna la mostra “Alighiero Boetti. Il mondo fantastico” alla Galleria Dep Art di Milano, è stato scritto dalla figlia dell’artista, Agata, a 8 anni, nel 1979.
L’oggetto della ricognizione è lo Zoo, che l’artista allestisce con i due figli, Agata e Matteo, appunto, nel suo studio-abitazione di Trastevere, a Roma. E che Antonio Addamiano, con la curatela di Federico Sardella, oggi rimette in scena per la prima volta dopo quasi 40 anni.

Senza titolo, 1994-1995 tappeto in lana e cotone cm 372 x 295, Palazzo Mazzetti, Asti, © Enzo Bruno

Un’opera costruita a sei mani, ma che non è di certo riconducibile solo ad una vicenda familiare ed estetica, né tantomeno al pensiero da cartolina di Boetti-artista-giocoso, ma che si iscrive perfettamente nel suo percorso concettuale e che fa da eco alla passione di Boetti per le geografie, per i viaggi, e anche per “la storia” intesa come continuità di sapere (il ricamo delle donne afghane) e di ricordi: “Gli uomini sono così cambiati dalla Preistoria, mentre gli animali sono rimasti gli stessi e hanno con sé milioni di ricordi…” sosteneva lo stesso Ali Ghiero (era stato soprannominato così dal proprietario dell’One Hotel di Kabul, islamizzando il nome dell’artista torinese).
Secondo Marcello Smarrelli, autore in catalogo, lo Zoo appartiene alla cosmogonia dei Tutto e delle Mappe: “Riempire i vuoti, questa era l’indicazione data dal padre ai bambini, quali novelli Adamo ed Eva posti in un paradiso terrestre a loro uso personale”.
È anche questa un’altra indicazione che ricorda l’attitudine di Boetti di porsi come un demiurgo con necessità di assistenza, «perché Alighiero era molto impaziente» ricorda Laura Cherubini, che è curatrice insieme a Maria Federica Chiola della mostra “Per filo e per segno” ad Asti. Qui, nella bella location di Palazzo Mazzetti, si è messo insieme un percorso dedicato esclusivamente ai lavori realizzati con la penna bic, con la serie degli Aerei e degli Alfabeti, e ricamati, in onore anche a quelle che sono le arazzerie astigiane Scassa, che a metà degli anni ‘50 decorarono il salone delle feste del transatlantico Leonardo da Vinci con sedici arazzi di Corrado Cagli, Giulio Turcato, Santomaso e Giuseppe Capogrossi, tra gli altri.

Zoo, 1979, installazione di Alighiero Boetti con i figli Agata e Matteo, foto di Bruno Bani

Anche in questo caso una mostra che, in controluce, racconta perfettamente del metodo di Alighiero Boetti nel concepire le sue cosmogonie, e l’abitudine di affidare ad altri il compimento dei suoi progetti, concedendosi solamente la pazienza nell’aspettarne i ritorni dall’Afghanistan, come accadeva per le Mappe, o per quei meravigliosi kilim che sono gli Alternando da uno a cento e viceversa, tra i pochi lavori di Boetti ad essere realizzati quasi esclusivamente in bianco e nero, proprio per rendere perfettamente visibile la possibilità di sviluppo di una forma data una griglia fissa come piattaforma; la capacità poetica dei numeri e delle rincorse di una logica che sembra disperdersi tra mille rivoli di colore (questione di casualità: era quello che avevano a disposizione le ricamatrici incaricate) nonostante lo schematismo della quadratura e della moltiplicazione.
Agata Boetti parla del “tappeto volante” come possibilità dell’immaginario per vedere il mondo dello Zoo da un altro punto di vista, dall’alto, scorgendo il mondo mappato dall’artista e dal suo “bestiario” di umanità affascinante, anticipatore di mixaggi inediti e globali, unendo stambecchi e caprioli d’Abruzzo con gnu, pantere, leoni e leonesse della Savana, con la lince e i lupi d’Afghanistan, i canguri dell’Australia, le mucche d’Italia e i polli di Francia. “Le nuvole – scriveva Matteo Boetti dello Zoo – sono quelle del tramonto”.
Ad Asti, invece, fa capolino in un angolo nelle prime sale al piano terra uno splendido e piccolo dittico con un cielo rossissimo nel quale vola un nugolo di aeroplani che, invertendo il punto di vista dal quale Agata Boetti ci invita a osservare la distesa di animali, sembra invece mostrarci quel cambiamento dell’uomo che, dalla Preistoria, ha conquistato il mondo e perso la memoria.
Matteo Bergamini

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