Arte Fiera, largo ai vecchi

di - 23 Gennaio 2015
Partita ieri, la 39esima edizione di Arte Fiera ha fatto – come sempre la sera dell’opening – il pieno di pubblico. E nel complesso? Offerta forse migliore che in alcune passate edizioni, ma piuttosto livellata, con la percezione che la kermesse bolognese sia (o tenti di essere) un’operazione di mercato, dove in mezzo a tanti pezzi sufficienti saltano all’occhio alcune perle.
E indovinate dove si trovano? Tra le gallerie che espongono e trattano artisti delle Avanguardie del Novecento – soprattutto – nell’area dedicata al focus sull’Oriente e in qualche “solo show”.
Partiamo dal Padiglione 26, che si apre con una grande carrellata muscolare di opere dei grandi italiani che vanno a gonfie vele nelle aste (e nelle gallerie) estere. I nomi? Sono quasi sempre gli stessi: Fontana, con diversi tagli e molte opere in ceramica, Castellani in infinite varianti anche cromatiche, dove le estroflessioni sono blu, rosse, nere, come si può notare in diverse gallerie tra cui Matteo Lampertico. Burri, omaggiato anche con uno spazio ad hoc per il centenario. E poi a scendere Turi Simeti, passato da quotazioni decisamente bassine negli scorsi anni a una vera e propria esplosione, capitanata qui dalla galleria Dep Art di Milano, che cura anche l’Archivio dell’artista. E continuando il salto degli anni, ecco Pistoletto in tutte le misure e le figure sugli specchi. Un visitatore tignoso l’ha contati e pare che ci siano 65 pezzi presenti in fiera. Ieri, c’era anche l’artista in carne e ossa.

Da Tonelli poi sono presenti diversi pezzi molto belli di Getulio Alviani allestiti su un’intera parete, e anche Grazia Varisco (esposta da Ca di Frà di Milano, per dirne una) è una presenza molto forte tra le offerte di questa edizione della fiera.
Menzione di merito anche allo stand di Massimo Minini, che dedica una bella parete a Elisabetta Catalano, mentre tutt’intorno tornano in auge Paolo Scheggi (forse un po’ troppi, per la sua breve vita) o la rivalutatissima, ma ancora non in completa esplosione, Dadamaino.
Poi, si torna a quello scritto poco sopra: la fiera è un grande mercato, con lunghi coni d’ombra.
Continuando a cercare il nostro 2best of” bisogna sicuramente infilare il Padiglione 25, dove ci imbattiamo sull’opera di Francesco Lauretta esposta dalla romana Z2O di Sara Zanin: uno spolvero site specific sulle pareti dello stand a mezzo di terra d’ombra, valore 7mila euro.

L’estero? Da segnalare la spagnola Horrach Moya, che propone una serie di opere della svizzera Silvie Fleury, artista eccentrica decisamente defilata da quello che è il mercato italiano e diventata famosa nel nostro Paese soprattutto alla fine degli anni ’90, con la presentazione di quel movimento legato al riflusso della Body Art, dove il corpo – tra sangue vero e feticci – trovava nuovo spazio. Ma qui, nulla ha a che fare con liquidi organici o simili, piuttosto con uno strano “concettuale”, come nel caso della lastra metallica color magenta: un monocromo perfetto che porta su di sé qualche graffio preciso: Crash Test il titolo.
Sempre qui Joana Vasconcelos, rappresentante del Portogallo alla scorsa Biennale e famosa per i suoi cuciti. A Bologna arriva con una serie di rane di ceramica vestite di ricami e una bella installazione blu: Torrent de Pareis.
Manca qualcosa? Forse di nuovo i nostri grandi vecchi, con l’Arte Povera. Calzolari (anche lui molto presente all’inizio del Padiglione 26, zona delle grandi gallerie del moderno) e Kounellis, insieme a Pino Pinelli, la fanno da padrone da Claudio Poleschi mentre ci sono splendidi lavori di Mondino e Boetti da Giuseppe Pero, di Milano. E un bellissimo Aldo Mondino è anche da Enrico Astuni, parte di un progetto realizzato in galleria nel 1994 con Ceccobelli, Ontani e Carboni, più quattro poeti, e intitolato Dos Passos, ispirato al Messico: valore 130mila euro.

Dulcis in fundo i “solo show” di cu segnaliamo i bei monocromi di Maria Morganti da Caterina Tognon di Venezia – che poi, spiega l’artista veramente monocromi non sono, visto che se il colore con cui lavora un giorno non si esaurisce, lo riutilizza, impastandolo a quello del giorno dopo (sempre e solo un colore al giorno è il suo metodo di lavoro) – e Michele Giangrande, con uno stand complesso messo in piedi da Galleriapiù di Bologna. E infine l’Est. Da visitare The Gallery Apart, con una serie di opere del ceco Dominik Lang (nell’immagine di apertura di questo articolo) e Laveronica di Modica, con le bellissime fotografie di Amir Yatziv, israeliano che usa la macchina come se fosse un carboncino su foglio nero in paesaggi che divengono caverne o scure stanze astratte. Vaclav Stratil è invece da Amt Project di Bratislava: qui si mischiano i codici in cerca di nuovi segni, comprese svastiche che compongono quadrati o i simboli matematici che si intersecano diventando il loro opposto. Originale, ma pare ci sia nascosto un germe, anche qui, quasi boettiano. Deja vu. Un po’ come i corridoi.

Matteo Bergamini

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