Boccioni per sempre

di - 28 Giugno 2016
Il 17 agosto del 1916, a Chievo (Verona), a seguito di una caduta da cavallo muore Umberto Boccioni, arruolato al fronte volontario durante la prima guerra. mondiale Ha solo a 34 anni ed è considerato il padre del manifesto della pittura e scultura futurista. Cent’anni dopo Milano lo celebra con la mostra “Umberto Boccioni (1882-1916) Genio e Memoria” (fino al 10 luglio, ideata dal Civico Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco, a cura di Francesca Rossi e Agostino Contò). Boccioni era nato a Reggio Calabria nel 1882, era stato allievo di Giacomo Balla e Milano è la città dove a un certo punto va a vivere e che gli insegna molte cose. A partire dalla sua casa in via Adige, a ridosso delle Officine di Porta Romana, là dove all’inizio del Novecento c’era l’erba e dove invece Boccioni trova i codici innovativi per la rappresentazione della Città che sale, vorticosamente travolta dai ritmi del progresso. Dal balcone di casa osserva la centrale Termoelettrica e il treno che fende lo spazio e il paesaggio nell’ex periferia della città in fase di radicale trasformazione urbana.
L’esposizione è incentrata su una duplice ricerca, da una parte si basa sulla parabola artistica di Boccioni attraverso un percorso tracciato dai disegni custoditi al Castello Sforzesco (dal 1906 al 1916), e dall’altra indaga ed espone documenti inediti scoperti di recente nella Biblioteca Civica di Verona, che sottolineano l’indagine del linguaggio e della poetica del Futurismo, primo movimento d’avanguardia italiano che vanta 21 manifesti redatti entro il 1914. L’Atlante della memoria di Boccioni comprende 216 ritagli di diverse immagini (dal 1895 al 1909), conservati in un diario dei ricordi proveniente da una donazione della sorella di Boccioni, Amelia, e oggi ospitato nella Biblioteca di Verona

Questo repertorio di fotografie prese da giornali e rotocalchi e una rassegna stampa futurista metodicamente schedata dall’artista tra il 1911 e il 1916, permette di rileggere l’opera di Boccioni, di entrare nel suo orizzonte iconografico partendo dal suo stesso punto di vista e di ripercorre la cronaca culturale dell’epoca. È una mostra complessa ma non ostica, questa di Palazzo Reale, che “apre” i taccuini di Boccioni, i diari del suo alfabeto visivo, svelando le opere e i dettagli che infiammarono l’immaginazione dell’artista, bulimico di conoscenza, di sapere, del passato per poi ridefinire un linguaggio totalmente nuovo.
Osservando l’Atlante ci s’immerge nella storia dell’arte, dai mosaici paleocristiani alle sculture greche e romane, passando al Rinascimento, e poi da Durer ai preraffaelliti, fino ai maestri tedeschi e mitteleuropei da Stuck a Kupka, Klinger e altri protagonisti dell’Espressionismo nordico, di cui Boccioni prima digerì e poi assimilò nuovi codici di rappresentazione non mimetica della realtà. Prima conoscere e poi superare il passato è alla base dell’elaborazione di nuovi linguaggi delle avanguardie storiche, e questa mostra che allinea 250 opere, inclusi dipinti mozzafiato, alcuni dei quali connessi con i disegni, come il capolavoro, dalle Officine a Porta Romana (1909-1910) dal tratto frammentato, filamento ondulato, segmentato e obliquo, al suo ritratto (mai più esposto dal 1916).

Il prezioso corpus di disegni a cui si aggiungono i capolavori della Galleria d’Arte Moderna, del Museo del Novecento, della Pinacoteca di Brera permettono allo spettatore di seguire il suo passaggio dal Simbolismo al Futurismo, intorno alla potenzialità della rappresentazione del movimento. Incantano i rimandi a dipinti, sculture, documenti, opere degli autori che hanno ispirato l’artista. Il percorso espositivo si apre con un suo ritratto, quello della madre e della Signora Massimino (1908) e con i paesaggi ancora simbolisti.
Boccioni era davvero bello, dallo sguardo tenebroso e capace di sondare l’animo umano attraverso colori vibranti irrorati di luce e rapide pennellate. Nella fase di gestazione del Futurismo, ha inciso prima la lezione di Gaetano Previati che lo ispirò nell’opera Il Sogno (1908-1909), una trasposizione pittorica visionaria di Paolo e Francesca travolti dalle onde del destino. Per la realizzazione di molte opere sono stati importanti anche ritratti psicologici e intimisti di Giacomo Balla, come Il dubbio (1908). Sorprendono i diari giovanili di Boccioni che riportano stati d’animo, indecisioni, curiosità, dubbi sui progressi della sua abilità, che svelano la sua passione per i classici, l’arte e la necessità di confrontarsi con il passato e altri artisti del suo tempo.

Nell’insieme 30 dipinti, 60 disegni del Castello, 19 incisioni della Raccolta Bertarelli, accanto ad altre 20 tavole provenienti dall’estero, compreso il Metropolitan di New York, ci aiutano a comprendere il genio poliedrico di Boccioni. L’ esposizione di carattere enciclopedico, restituita da un discutibile allestimento volutamente “cantieristico”, a cura dell’architetto Andrea Faraguna,  mira a mettere in scena uno stato d’animo caotico ma ordinato al tempo stesso dell’autore, travolto dalla febbre della modernità.
La seconda parte della mostra entra nel vivo delle destrutturazioni del Futurismo, dove il dinamismo, la velocità del tratto e la città e il paesaggio urbano diventano un soggetto estetico. Incanta l’opera Forze di una strada (1911), sfreccia nello spazio la figura ritratta nel dipinto Dinamismo di un ciclista (1913), frammenta il segno Elasticità (1912), fino al capolavoro Materia (1912-13), della collezione Mattioli, e qui non poteva mancare Forme uniche della continuità dello spazio, icona del dinamismo plastico (impressa sul recto della moneta dei 20 centesimi di euro). La scultura summa della poetica di Boccioni, esposta accanto ai disegni e bozzetti sul tema, realizzata tra il 1911 e il 1914, plasma una “sensazione dinamica” che coniuga in maniera simultanea energia e materia.

Jacqueline Ceresoli

Jacqueline Ceresoli (1965) storica e critica dell’arte con specializzazione in Archeologia Industriale. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente.

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