Burri, 100 anni e il bello comincia ora |

di - 21 Gennaio 2015
Lo ricordano soprattutto come un grande artista con la costante voglia di sorprendere  e con una profonda passione per  la  materia, ma solo quella più povera e dimenticata. Si tratta di Alberto Burri e il 2015, anno del centenario dalla sua nascita con una serie di iniziative sparse tra l’Italia, l’Europa e gli USA, dove  il prossimo ottobre il Guggenheim Museum di New York gli dedica una grande retrospettiva di oltre cento opere, che arriverà anche in Italia e Germania. Ma l’artista umbro è premiato anche in termini di mercato con quotazioni sempre più alte, come vi abbiamo detto in varie occasioni.
E veniamo alle iniziative in Italia, che sono tante e articolate. Città di Castello, la sua città natale, negli Ex Seccatoi del Tabacco in primavera organizzerà un comitato scientifico, che si misurerà tra etica ed estetica, con una settantina di artisti internazionali divisi in gruppi, in piccole tavole rotonde dirette da un moderatore per discutere temi di ampio respiro, tra gli altri: lo stato dell’arte contemporanea, il suo rapporto con il sacro, con le nuove richieste del mercato e con la scienza. L’Università di Perugia ospiterà il convegno “Materia Forma Spazio” per una riflessione storico-critica sull’opera di Burri. A Milano, nel Parco Sempione, ci sarà la ricostruzione del Teatro Continuo, realizzata da Burri nel ‘73 per la XV Triennale, e demolito nell’89. Non poteva mancare la pubblicazione del nuovo catalogo, 6 volumi per raccontare cinquant’anni di intenso lavoro  oltre alla  realizzazione di  un documentario dedicato al maestro che parte dal campo texano di Hereford. In Sicilia, a Gibellina, sarà completato il Grande Cretto, grandioso e commovente “sudario2 che ricorda il dramma del sisma del ‘68, per aggiungere ai 70mila metri quadrati del grande labirinto bianco altri 20mila previsti, e mai realizzati da Burri oltre a una mostra a Palermo dedicata sempre al Grande Cretto. Poi due mostre per un confronto tra grandi dell’Alta Valle del Tevere a Sansepolcro e a Morra: Burri vicino a Piero della Francesca e a Luca Signorelli.
Appuntamenti diversi per ripercorrere alcuni dei momenti della vasta produzione dell’artista, cominciata dopo il ‘43,  l’anno del grande cambiamento, quando Burri, prigioniero di guerra in Texas, decide di lasciare per sempre la sua valigetta da medico per cominciare  la complicata carriera da artista. Difficile stabilire un’evoluzione precisa della sua arte, cadenzata dalla realizzazione dei famosi Cicli, opere raccolte seguendo il materiale usato, per l’artista sempre un mezzo e mai un fine, come i sacchi, la plastica, il legno, le muffe, i catrami,  investiti da processi di degradazione per dettare nuovi concetti di spazio e materia. Burri stesso affermava: «L’ultimo mio quadro è uguale al primo». Un aspetto della sua arte, che emerge nitidamente osservando i musei che Città di Castello gli ha dedicato: Palazzo Albizzini e gli Ex Seccatoi del Tabacco, un doppio dialogo tra le opere esposte e lo spazio che le contiene, un grande equilibrio fatto di continui rimandi. Con il tempo Burri realizzerà opere soltanto in funzione dello spazio scelto per esporle.
Il percorso di Palazzo Albizzini deciso da Burri comincia con Nero 1, un quadro importante, fatto di neri spessi, da dove emerge una nota decisa di azzurro e un accenno di rosso; è lo stesso nero, che tornerà in altre dimensioni nei Seccatoi nei cicli Annottarsi, e Non Ama il Nero insieme ai grandi cicli, i Catrami, Muffe, Sacchi, Cellotex, Legni, Combustioni, Ferri, Legni, Cretti, l’universo complesso dell’artista dominato costantemente dalla potenza della materia. Sempre l’utilizzo degli Ex Seccatoi alla fine degli anni Settanta, rivela la capacità di Burri di trasformare in museo luoghi con una memoria industriale, per diventare un precursore di una tendenza seguita da altri artisti.
Ancora confronti tra equilibri geometrici e spaziali nella mostra di Sansepolcro alla Pinacoteca Civica, intitolata “Rivisitazione: Burri incontra Piero della Francesca”, curata da Bruno Corà insieme allo staff scientifico della Fondazione Burri, visibile fino al 12 marzo, capaci di un dialogo profondo tra linguaggi di epoche storiche lontane senza però voler stabilire un confronto diretto, piuttosto una condivisione ideale tra Burri e Piero della Francesca. Tra la Resurrezione, il Polittico della Misericordia, il San Giuliano, il San Ludovico di Tolosa, nel percorso scandito dai capolavori del grande maestro si scopre una sala interamente dedicata  a Burri, con il Sacco e Verde, Rosso Plastica, Grande Bianco Cretto, Cellotex, che instaurano con il grande maestro del Rinascimento quelle che Bruno Corà definisce: «ineludibili condivisioni di un enigmatico ma reale fluido di grazia atemporale». Vicinanze che si sviluppano nei rapporti spaziali, cromatici, nei silenzi, nella grandezza di un presente che vuole esser immobile nella sua intensità.
Con Burri è la materia cruda che diventa opera, come quando l’artista trasforma la plastica con le combustioni, senza lasciare nulla al caso, costante nel suo controllare la materia, nei Cellotex insegue un rigore spaziale e formale che ritorna evidente nei Cretti tra spaccature e interruzioni. Ancora proporzione, armonia e ordine, sempre regole estetiche capaci di determinare un ritmo classico, radici lontane investono ogni attimo della sua intensa produzione.

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