Gli universi paralleli di Klein e Fontana

di - 12 Dicembre 2014
Al Museo nel Novecento di Milano, 90 opere, tra dipinti, sculture, installazioni, disegni e numerosi documenti, raccontano cinque anni di amicizia, dal 1957 al 1962, tra Yves Klein (1928-1962), nato a Nizza e protagonista del movimento del Nuovo Realismo teorizzato da Pierre Restany, e Lucio Fontana (1899-1968), nato in Argentina e autore del Manifesto Blanco 1946). L’incontro, che cade nel momento di passaggio dalla pittura informale a a esperienze più radicali e oggettuali e, da Manzoni, agli artisti cinetici, trasforma Milano in una capitale di sperimentazione artistica aperta a confronti internazionali.
Due giganti dell’arte del XX secolo condividono la ricerca di realtà immateriali: il trait d’union tra il monocromo blu di Klein, di tensione spiritualista e ispirato ai cieli giotteschi, e le aperture al cosmo di Fontana, con i suoi tagli e i buchi incisi sulla tela, è costituito dal sogno europeo di una generazione che vuole rinascere dalle macerie del secondo conflitto mondiale, superando tutto ciò che era già stato fatto nelle arti visive.

In questo generale clima di fiducia nel futuro, nel 1957 fu istituita anche la Comunità Europea, lo stesso anno Klein debutta a Milano nella Galleria Apollinaire, centro di ricerche avanguardiste, interessata all’attività di artisti francesi e tedeschi. La mostra di taglio storico-filologico “Yves Klein Lucio Fontana, Milano Parigi 1957-1962”, prodotta dal Museo del Novecento, a cura di Silvia Bignami e Giorgio Zanchetti, in collaborazione con la Fondazione Lucio Fontana di Milano e con gli Archives Yves Klein di Parigi, è tra gli appuntamenti imperdibili del palinsesto espositivo e culturale “Milano cuore d’Europa”, che prevede una programmazione di eventi pensata in occasione del semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea.
L’asse Milano – Parigi si crea nel 1957 in occasione della prima mostra personale di Klein presentata da Pierre Restany presso la galleria Apollinare di Guido Le Noci, quando Fontana acquista un monocromo e negli anni Sessanta diventa uno dei principali acquirenti della galleria. L’epoca “blu dipinta di blu” debutta con il lancio di 1001 palloncini di questo colore nel cielo di Parigi e tra le opere monocrome siglate “IKB-Internatonal Klein Blu” (pigmento brevettato), sculture, rilievi, spugne e i Concetti Spaziali di Fontana, si va oltre il dipinto e si materializza il la quarta dimensione e la tensione verso l’infinito. Le storie di solidarietà, rispetto, stima e scambi culturali tra i due geni, è il tema proposto dai curatori in questa mostra attraverso accostamenti tematici e visivi, valorizzati da soluzioni espositive accattivanti progettate “site-specific”, intorno al fil blu, al vuoto e allo spazio.

Per la prima volta il museo Novecento si snoda in diverse sale, andando oltre lo spazio espositivo della manica lunga, abitualmente destinata a mostre temporanee. Le opere dei Klein e Fontana alla ricerca di nuovi realismi, innestate in diverse sale del museo, creano un riuscito colloquio emozionale e culturale con quelle della collezione permanente. La mostra di taglio storicistico ma non accademico, si basa su decennali ricerche condotte negli archivi italiani e francesi e il catalogo (edito di Electa), è già cult per gli studiosi e interessati ad approfondire le affinità concettuali dei due artisti.
La qualità e il rigore scientifico curatoriale sono testimoniate da un’accurata selezione di lettere, documenti, cataloghi, filmati d’epoca e fotografie, grazie a prestiti di importanti musei italiani e stranieri che svelano la complicità e l’amicizia tra i due artisti e la fiducia delle istituzioni straniere per quelle italiane. Non è sempre stato così.  Tra gli altri importanti documenti esposti sorprendono alcune intuizioni come quella trovata nelle pagine dell’Atlante del cielo negli anni Trenta di Pio Emanuelli, un Piero Angela dell’epoca, noto divulgatore scientifico che ha lavorato anche per la Eiar (Ente italiano per le audizioni radiofoniche). Klein, maestro di judo, cultore di teorie cosmogoniche rosacrociane e di Zen, fervente devoto di santa Rita da Cascia, stroncato a 34 anni da un infarto, Fontana  e Manzoni hanno generato schiere di epigoni .

Nell’ultimo pellegrinaggio al Santuario di Cascia, Klein dedica alla Santa un Ex-voto (1961), opera nascosta per 20 anni e riapparsa nel 1981, un contenitore trasparente che custodisce uno scritto e pigmenti dei tre colori utilizzati da Klein: blu, rosa e oro è una chicca della mostra milanese.
Il percorso espositivo incomincia dal titolo della mostra riprodotto con neon bianco per Fontana e ovviamente blu per Klein, incastonato sulla facciata dell’Arengario antistante sul sagrato del Duomo, continua tra le sale del museo e termina al piano terra, con il confronto nell’atrio tra Concetto spaziale di Fontana e i Relief planètaire del collega francese. Nella Manica Lunga, il dialogo tra i due innovatori è da vivere più che da raccontare. Basta un‘occhiata alla serie di Nature di Fontana, esposte nel 1961 nella galleria di Iris Clert, gallerista di Klein, per capire che per l’artista non è importante copiare la natura. Nella sala del museo dedicata ai Futuristi non passa inosservato l’accostamento tra il dipinto Quelli che restano di Umberto Boccioni (1911) e l’opera Attese di Lucio Fontana (1959), uno dei suoi primi tagli.

Di grande impatto scenografico è la riproposizione della maxi installazione di Pigment pur, un tappeto–piscina di pigmenti di blu Klein, presentato nel maggio del 1957 a Parigi alla Galerie Colette Allendy, adagiato sul pavimento della sala vetrata che si affaccia sulla piazza del Duomo: una “mostra nella mostra” che inscena un colloquio immaginario tra i due artisti. L’arabesco fluorescente di circa cento metri, originalmente si stagliava sul blu e irradiava nebulose celesti, evocazioni dello spazio siderale. Quest’opera riproduce l’originale realizzata per lo scalone della IX Triennale di Milano (1951).
Fontana ha successo a Parigi, tanto che Pierre Guégon lo presenta come l’innovatore, paragonandolo a Paul Valery. Con Klein condivide il rapporto con lo spazio e con il vuoto, la galleria di Iris Clert e l’uso di elementi diversi come la luce, il fuoco e l’aria in alternativa alla pittura. Klein negli anni Sessanta userà i corpi come pennelli per dare vita alle Anthrométrie de l’epoque bleue, anche fiamme per Pitture di fuoco, ed è stato paragonato da Dino Buzzati a «piccoli spiriti bizzarri, capricciosi e dispettosi, che accompagnano la vita dei bambini».
Nello spazio immateriale, cosmico o spirituale di Klein e Fontana, l’arte va oltre la tela e diventa scultura.

Jacqueline Ceresoli (1965) storica e critica dell’arte con specializzazione in Archeologia Industriale. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente.

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