Avevano fatto del rifiuto della società vittoriana,
asfittica perbenista e soffocante, il loro manifesto programmatico ed estetico.
Rigettando l’aria stantia della Royal Academy, l’estetica (ed estatica)
confraternita nata nel 1848 aveva una parola d’ordine estremamente chiara:
riportare l’arte alla purezza di forma e colore pre-manierista. Ecco l’assunto:
prima di
Raffaello i pittori erano “
semplici, sinceri e mistici”; dopo di lui il diluvio,
materializzatosi nel trionfo dell’artificioso e del retorico e nel progressivo
e annichilente allontanamento dalla natura fonte di verità. Per restituir
dignità all’arte tradita l’unica via era ricorrere al simbolo. Missione
impossibile, o quasi, nell’Inghilterra piccolo-borghese tutta
prudérie e merletti. E infatti non furono
capiti.
I cavalieri che tentarono la nobile impresa si chiamavano
Dante
Gabriel Rossetti,
William Hunt,
Ford Madox Brown,
John Everett Millais,
William
Morris,
Edward Burne-Jones.
Il primo, il “
misterioso
e non inglese Rossetti” (lo disse Millais), era figlio di un carbonaro innamorato di Dante e
impregnato di idee liberali. Fu lui a coniare l’autodefinizione di
Pre-Raphaelite
Brotherhood insistendo sul suo aspetto corporativo ed esoterico. Una stagione breve e
intensa: la confraternita si sciolse nel 1854, poi continuarono ciascun per sé.
Ma se gli inizi furono duri – Dickens definì il
Cristo in casa dei genitori di Millais un quadro “
repellente
e rivoltante” –
la fine fu in gloria grazie al grande critico John Ruskin, che sin dal 1851 li
aveva salutati come gli iniziatori di una “
nuova e nobile scuola in
Inghilterra”.
Via il fumo di Londra, dunque, e porte aperte al profluvio
di colori chiari giotteschi e veneti. Li li si osserva al Mar di Ravenna, dove
oggi apre al pubblico la mostra
I Preraffaelliti e il sogno italiano. I curatori, Colin Harrison,
Christopher Newall e Claudio Spadoni, hanno raccolto le loro fonti
d’ispirazione e la rappresentazione del paesaggio italiano. I guru di Rossetti
e soci, infatti, erano
Giotto,
Gentile da Fabriano,
Beato Angelico,
Perugino e i maestri veneti. Vedute e
scorci furono realizzati da una squadra di artisti inviati a documentare
edifici e dipinti che Ruskin credeva in pericolo.
L’immaginario preraffaellita mescola il romanticismo di
Browning e Tennyson ai tratti visionari di
Blake e all’inquietudine di Poe. I temi
sono biblici, shakespeariani e medievali, in particolare arturiani. Il mondo è
onirico ed estetizzante, con un gusto spiccato per i particolari decorativi pre-Liberty.
Si va dai lunari modellati michelangioleschi di
Edward Burne-Jones ne
La ruota della fortuna al parossistico simbolismo
floreale del
John Everett Millais di
Ofelia, dall’algida e allampanata metafisica dell’
Ecce
ancilla Domini di
Rossetti al quadro sociale di
Ford Madox Brown.
La mostra (che in estate volerà all’Ashmolean di Oxford)
propone anche i disegni preparatori realizzati da Burne-Jones per i mosaici
della chiesa romana di San Paolo fuori le mura. E poi un focus sui lavori della
“Scuola Etrusca” che si coagulò attorno al garibaldino romano
Giovanni Costa: artisti che subivano il fascino
magnetico della Penisola e, da inglesi, sostenevano la nostra causa
dell’indipendenza. Appendice in odor di concessione ai 150 anni dell’unità.