Quel profeta di Gauguin

di - 29 Ottobre 2016
È sulla scia dei percorsi d’acqua, dalla costa bretone di Pont Aven ai mari del Sud, lungo traiettorie ancora inesplorate, che la rivoluzione pittorica di Gauguin e dei Nabis, si è diffusa con sviluppi inaspettati anche in Italia. Dalla Manica fino alla laguna veneta in una serie di cinque sezioni, la mostra “I Nabis, Gauguin e la pittura italiana d’avanguardia” impaginata da Giandomenico Romanelli, è di scena a Rovigo, la Mesopotamia d’Italia: la bella città, infatti, sta a metà strada tra l’Adige e il Delta del Po. La mostra è un viaggio nei luoghi e nel tempo dei pittori sintetisti alla ricerca dell’elemento naturale, della semplicità, dell’invenzione di un nuovo linguaggio.
L’anno di svolta, il momento in cui questo nuovo idioma pittorico romperà con i precedenti, è il 1886, quando il genio di Gauguin tocca le sacre sponde della Bretagna. La regione bretone è in quegli anni il cuore della Francia dove si riuniscono artisti di ogni provenienza, attratti dalla bellezza del luogo e dalla sua vivacità culturale. Nel preciso istante in cui in questo fervido laboratorio di idee giunge Paul Gauguin, la vicenda della pittura bretone e poi europea prenderà una piega completamente diversa. Il rovesciamento dei canoni è totale, il ribaltamento radicale: se fino a quel momento, infatti, e per secoli la storia dell’arte aveva imposto una precisa corrispondenza tra arte e natura seguendo il dettato “ut natura pictura”, adesso Gauguin, Denis, Sérusier, Bernard irrompono e frantumano per sempre questo legame.

Affermando il diritto di una piena libertà dell’artista, già evidente in opere in mostra come Bretagna (1889) di Paul Gauguin, Le Pouldu di Paul Sérusier, o Piccolo ciliegio di Cuno Amiet, e soprattutto Donne bretoni sulla spiaggia e covone di alghe di Emile Bernard (1888), ciò che adesso conta non è il dettaglio analitico, o il rispetto della verosimiglianza, l’ossessione della prospettiva e la correttezza delle proporzioni. Tutt’altro, ora è l’armonia a prevalere, il colore fatto di macchie steso su superfici piatte, l’acidità cromatica.
Nel 1901 Gauguin lascia definitivamente l’Europa per le Isole Marchesi, dove pur morendo, in solitudine e miseria, lascia a quei giovani, soprannominati Nabis (profeti) questa pesante eredità. I ragazzi la raccolgono a piene mani e la trasmettono attraverso un messaggio più esoterico, misticheggiante entro i confini di Parigi con esiti quali Magnificat o Mattino di Pasqua di Maurice Dénis.
Di là, e dopo i personalissimi sviluppi francesi rappresentati anche dalla pittura di Georges Lacombe (Falesie a Camaret) e Charles Filiger (Fantasia) solo la seconda generazione di artisti porterà in Italia il testimone dell’insegnamento di Gauguin. L’impronta di questo passaggio è ampiamente tracciato nella mostra di Palazzo Roverella con l’esposizione di opere di Ghiglia, Casorati, ecc. e persino Arturo Martini, senz’altro però è il veneto Gino Rossi le cui opere, concludendo il percorso della mostra, spingono in Italia e fino all’estremo il portato di questo terremoto artistico.

Pur rinchiuso in manicomio fin dall’età di 20 anni, Gino Rossi è il capostipite di questa versione italo-lagunare  sintetista.  Mentre, inserendo il tema dello spazio borghese, anche Vallotton (pittore elvetico) informa la pittura di ambiente domestico con gli interni e le scene chiuse tra le quattro pareti di casa.
Tutto sommato dunque, con un lungo salto spazio-temporale, l’esposizione rodigina, racconta il verbo rivoluzionario di Gauguin che ha travalicato secoli e luoghi fino al ‘900 e alle avanguardie. Confermando così, l’esigenza, nata in quegli anni, di impossessarsi degli antichi strumenti pittorici per sconvolgerli e ribaltarli, per assemblarli e restituire loro l’originaria semplicità, anche dopo gli Impressionisti.
Saranno proprio loro, quindi, a creare, seguendo il dettato del loro padre fondatore, un linguaggio pittorico nuovo, sintetista e sintetico, essenziale e riccamente colorato, mettendo quindi un importante tassello per la nascita dell’arte moderna in tutta Europa e influenzandone i successivi sviluppi fino all’arte astratta.
Anna de Fazio Siciliano

Critica, storica dell’arte e redattrice per prestigiose riviste di settore (Exibart,Art e Dossier, Finestre sull’arte) ha all’attivo numerosi articoli e interviste a galleristi (Fabio Sargentini), direttori di Musei (Anna Coliva) curatori (Alberto Fiz), vertici di società di mostre (Iole Siena, Arthemisia Group e Renato Saporito, Cose Belle d’Italia). Da tempo collabora con la Direzione della Galleria Borghese con la quale dopo aver prodotto una ricerca inedita sul gusto egizio ha svolto un lungo periodo di formazione. Nel 2015 fonda Artpressagency la sua agenzia di ufficio stampa, comunicazione, critica d’arte e di editing che sta espandendo e che ha visto collaborazioni notevoli con colleghi e musei, istituzioni su tutto il territorio nazionale (MaXXi di Roma, Biennale di Venezia, Zanfini Press, Rivista Segno, ecc.). Lavora come editor per Paola Valori e in qualità di addetta stampa scrive per le mostre di Studio Esseci, Arthemisia, Zetema, Mondomostre, ecc. Tra le pubblicazioni più importanti: “Margini di un altrove”, catalogo della mostra svoltasi  nel 2016 a Siracusa in occasione delle rappresentazioni classiche, “History is mine _ Breve resoconto femminile ”: unico capitolo dedicato al genere femminile pubblicato nel libro “Rome. Nome plurale di città” di Fabio Benincasa e Giorgio de Finis, “La verità, vi prego, sulle donne romane”, indagine archeologica e figurativa sull’assenza nei luoghi delle donne nella Roma antica, per FEMM(E)-MAAM ARTISTE. Al momento, oltre all’aggiornamento di Report Kalabria, indagine sulle contaminazioni artistiche contemporanee nei luoghi archeologici in Calabria, si sta occupando di promuovere un progetto originale degli artisti Francesco Bartoli e Massimiliano Moro, anche dei linguaggi multimediali applicati a eventi espositivi.   Gli articoli di Anna su Exibart.com

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  • Rettifico:
    Gino Rossi trascorre gli ultimi 20 anni della sua vita in manicomio.

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