“Questo vento agita anche me!”

di - 25 Dicembre 2018
Al di là dei luoghi che dipinge siano essi Montpellier, la sorgente della Loue, boschi e grotte svizzere, o il Belgio con la Mosa, cascate e marine o falesie, Courbet proietta nella sua pittura un carattere indomito, a tratti ribelle.
In particolare in quelle burrasche di mare che al pubblico di Ferrara, con la mostra “Courbet e la Natura” fino al 6 gennaio, stanno dando il capogiro. Anche se nelle relazioni umane lo faceva risultare poco malleabile, l’indole del pittore francese nato a Ornans nel 1819, che per giunta era pseudo anarchico e refrattario a qualunque convenzione, è una eredità pesante che deriva dall’asprezza della sua regione di provenienza, la Franca Contea. Ulteriore elemento in questo senso e che contribuisce a rendere fortemente caratterizzata la pittura di Courbet è il suo percorso da “realista” attraverso cui la tecnica, affinata nel tempo, porta a esiti che non sono mai topografici dei luoghi ma intimi perché permeati da quell’”impressione” (non è comunque un pre-impressionista: non dipingeva all’aperto ma in studio) che garantiva effetti magici alle sue pennellate, morbide o impetuose a seconda dei casi. Grazie a questo stile, durezze e angolosità di qualunque paesaggio, cascate, marine o tempeste, si frantumano in un baleno, si polverizzano in un’atmosfera incantata che, come voleva Venturi, “suscita estasi”.
Diviene materia plasmabile: “solida, liquida o gassosa, morta o vivente che sia, Courbet è pittore di sensazione”, scriveva Giuliano Briganti nel 1977. Anche i nudi di donna, per cui fu aspramente criticato, sono ninfee delle acque, o corpi fragili, svuotati, e le Fanciulle sulla riva della Senna, in mostra ne sono un esempio. Sappiamo che la posa apparentemente lasciva delle protagoniste fece scalpore perché offri il giusto assist al tema dell’omosessualità femminile, trattato in quegli anni dal romanzo Lèlie di George Sand, probabile fonte per Courbet.
Courbet e la natura, Palazzo dei Diamanti
Anche la tecnica con l’uso del coltello o della spatola, delle dita o degli stracci, da lui inventata, contribuisce a rendere unico il suo modo di dipingere: la tela viene lavorata principalmente con uno strato scuro, solo in seguito, qui e là, picchiettata con impasti di bianchi, precisi punti luce che vanno a mostrare improvvisamente con chiarore paesaggi adombrati dal sottobosco, più evidente in opere come Il ruscello (dalla National Gallery di Washington) o La sorgente della Loue (dal Metropolitan Museum di New York): Courbet in tal modo elabora un trattamento pittorico in modo che possa rendere meglio le caratteristiche materiche degli elementi naturali.
È inevitabile poi, riguardo a Courbet, non pensare all’uomo che ha partorito quest’arte, lui che aveva il destino segnato e a cui si oppone, proprio come un mare in tempesta, con tutte le sue forze. Infatti, benché la famiglia lo volesse seguire le orme del padre (riuscite solo a immaginare Courbet il bohemien da barba e capelli lunghi, impettito in giacca e cravatta occuparsi di legge?), riesce con costanza e lungimirante strategia a costruirsi una carriera artistica di tutto rispetto e anche ben remunerata. Per forgiare la sua immagine pubblica, parte proprio da se stesso togliendosi subito quell’aria da raffinato borghese parigino, per apparire immediatamente un outsider lontano dai circoli d’arte e dal Salon, dove per altro sarà ammesso dopo svariati tentativi solo nel 1870, con un capolavoro di giapponismo qual è L’Onda (dalla National Gallery of Scotland a Edimburgo).
Courbet e la natura, Palazzo dei Diamanti
E dire che il mare, come soggetto dei suoi lavori, lo scoprirà solo nel 1841, sulla costa normanna. Per lui “orizzonte infinito che non incontra elementi terrestri”, il paesaggio marino occuperà soltanto la seconda parte della sua vita, per diventare talmente predominante che Courbet sarà indicato, ancora in vita, come il pittore delle onde, scegliendo Etretat come punto di vista privilegiato perché li la spiaggia sassosa e la costa più scoscesa favoriscono un mare agitato. Quel mare in tempesta di cui, grazie a Courbet, non vediamo soltanto il prorompere impetuoso delle onde ma ne sentiamo l’urlo, il moto vorticoso o il fragore mentre sbatte contro gli scogli.
Anna de Fazio Siciliano

Critica, storica dell’arte e redattrice per prestigiose riviste di settore (Exibart,Art e Dossier, Finestre sull’arte) ha all’attivo numerosi articoli e interviste a galleristi (Fabio Sargentini), direttori di Musei (Anna Coliva) curatori (Alberto Fiz), vertici di società di mostre (Iole Siena, Arthemisia Group e Renato Saporito, Cose Belle d’Italia). Da tempo collabora con la Direzione della Galleria Borghese con la quale dopo aver prodotto una ricerca inedita sul gusto egizio ha svolto un lungo periodo di formazione. Nel 2015 fonda Artpressagency la sua agenzia di ufficio stampa, comunicazione, critica d’arte e di editing che sta espandendo e che ha visto collaborazioni notevoli con colleghi e musei, istituzioni su tutto il territorio nazionale (MaXXi di Roma, Biennale di Venezia, Zanfini Press, Rivista Segno, ecc.). Lavora come editor per Paola Valori e in qualità di addetta stampa scrive per le mostre di Studio Esseci, Arthemisia, Zetema, Mondomostre, ecc. Tra le pubblicazioni più importanti: “Margini di un altrove”, catalogo della mostra svoltasi  nel 2016 a Siracusa in occasione delle rappresentazioni classiche, “History is mine _ Breve resoconto femminile ”: unico capitolo dedicato al genere femminile pubblicato nel libro “Rome. Nome plurale di città” di Fabio Benincasa e Giorgio de Finis, “La verità, vi prego, sulle donne romane”, indagine archeologica e figurativa sull’assenza nei luoghi delle donne nella Roma antica, per FEMM(E)-MAAM ARTISTE. Al momento, oltre all’aggiornamento di Report Kalabria, indagine sulle contaminazioni artistiche contemporanee nei luoghi archeologici in Calabria, si sta occupando di promuovere un progetto originale degli artisti Francesco Bartoli e Massimiliano Moro, anche dei linguaggi multimediali applicati a eventi espositivi.   Gli articoli di Anna su Exibart.com

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