Restauro di un mito

di - 25 Settembre 2003

Il marmo è di qualità scadente, attraversato da molteplici venature, e secoli di esposizione alle intemperie (prima e dopo che venisse realizzato il capolavoro) non gli hanno certo giovato; ancora, i danni accidentali e quelli sciaguratamente perpetrati con le migliori e le peggiori intenzioni, dal restauro alla demolizione, fanno pesare sul David di Michelangelo tutti i suoi 500 anni di vita.
Grandi festeggiamenti in previsione per il 2004; tra questi Antonio Paolucci annuncia una grande mostra a Palazzo Strozzi che ricostruirà il contesto artistico e culturale di quel 1504, quando in un giorno di maggio -era il 18– all’alba faceva il suo ingresso in Piazza della Signoria la scultura più nota del mondo (Michelangelo vi avrebbe lavorato in situ ancora fino al settembre dello stesso anno). Inevitabile, quindi, che tanta celebrità scatenasse esasperate polemiche in vista del restauro, iniziato il 15 settembre scorso, che si concluderà nella prossima primavera, appena in tempo per l’inizio delle celebrazioni.
Già durante le indagini preliminari –scrupolose all’inverosimile e condotte dai maggiori istituti scientifici, nazionali e non– si sono consumati numerosi colpi di scena. Raccolte di firme, appelli accorati, tra cui quello di un illustre studioso quale James Beck, l’abbandono del cantiere da parte della restauratrice Agnese Parronchi alla decisione che le operazioni di pulitura non sarebbero state a secco. E il Comune di Firenze, che negli scorsi mesi ha rivendicato la proprietà della statua.
Ma al chiuso dei laboratori e sulla ribalta del cantiere allestito intorno al David gli esperti hanno continuato le loro indagini, i test, le prove.
Cristina Acidini, Soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure, precisa che si tratta di un intervento di doverosa manutenzione che non comporta il minimo rischio per l’opera. L’affermazione è confortata dal muto splendore delle altre sculture di Michelangelo che hanno subito lo stesso tipo di intervento e che osservano inequivocabilmente integre l’arena di tanto dibattito (i Prigioni, il Mosè e, ancora in corso, la Pietà Rondanini).
Di tutto questo e delle procedure di pulitura, con i problemi, le tecniche, i risultati delle prove, la stampa di tutto il mondo ha parlato esaustivamente. È il Mitorestauro, come lo ha definito Paolucci, Soprintendente del Polo Museale Fiorentino (v. Kermes, n. 49), un restauro non contemplato dalle teorie di Cesare Brandi. Un’operazione che deve tenere conto non solo dello stato di conservazione dell’oggetto, dei rischi da affrontare e dei risultati da ottenere ma anche, ahimè, dell’opinione pubblica. Opere di immenso prestigio hanno attraversato incolumi restauri ben più incisivi, altre versano in gravi condizioni, bisognose di intervento, senza che per questo nessuno si indigni. Ma il David è su tutte le magliette, un feticcio, un totem dell’immaginario globale e anche lui deve pagare il prezzo del successo.

pietro gaglianò

[exibart]

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